Le armature parvero esitare, come avvertendo il suo coraggio. Fu come se l'albergo stesso esitasse all'improvviso, o come se aprisse gli occhi al cospetto di un pericolo più grave del previsto; le assi dei pavimenti gemettero, alcune porte lontane si chiusero una dopo l'altra con tonfi successivi e sui tetti le banderuole d'ottone cessarono Der un attimo di ruotare.

Poi le armature si mossero di nuovo. Costituivano ora una specie di muraglia semovente di lastre di ferro e maglie, di gambali e elmi e gorgiere scintillanti. Una impugnava un manico di legno dal quale pendeva una palla di ferro chiodata; un'altra aveva un martel de fer, quella al centro brandiva la spada a due punte.

A un tratto Jack s'incamminò verso di loro. I suoi occhi si accesero. Teneva davanti a sé il plettro. Il suo viso s'illuminò del fulgore di Giasone. Slittò momentaneamente nei Territori e diventò Giasone; qui il dente di squalo sembrava incendiato. Uno dei tre cavalieri si tolse l'elmo e gli mostrò un'altra di quelle facce vecchie e pallide, questa però gonfia di borse di lardo e con il collo attorniato di peli traslucidi che sembravano grumi di cera di candela. Gli scagliò contro l'elmo. Giasone lo schivò facilmente e tornò indietro ridiventando Jack nel momento in cui l'elmo urtava la parete alle sue spalle. Davanti a lui adesso c'era un'armatura senza testa.

Credi di spaventarmi? pensò con disprezzo. Ho già visto questo giochetto. Non mi fa paura. Tu non mi fai paura e sono venuto qui per prenderlo e lo prenderò.

Questa volta non ebbe solo la sensazione che l'albergo lo ascoltasse; fu come se indietreggiasse inorridito tutt'attorno a lui, come se i tessuti di un apparato digerente si contraessero di ripugnanza per un boccone avvelenato. Al piano di sopra, nelle cinque camere dove erano morti i cinque Cavalieri Guardiani, cinque finestre esplosero come colpi di fucile. Jack si avventò sulle armature. Il Talismano lanciò dal piano di sopra il suo terso grido di trionfo: Giasone! A me!

«Avanti!» gridò Jack alle armature e cominciò a ridere. Non sapeva contenersi. Mai la voglia di ridere era stata così forte in lui, così potente, così salutare. Era come acqua di una sorgente. «Preparati, sono qui per te! Non so da che cazzo di Tavola Rotonda venite voialtri, ma meglio avreste fatto a restare seduti! Avete commesso un errore!»

Ridendo come un pazzo, ma cinicamente risoluto dentro di sé quanto Odino sulla rupe delle Valchirie, Jack si lanciò sull'armatura centrale, quella decapitata.

«Avreste dovuto uccidere tutti e due i fratelli Ellis!» urlò, e nel momento in cui il plettro di Svelto attraversava la zona di aria ghiacciata in corrispondenza della testa mancante del cavaliere, l'armatura si disfece.

 

3

 

Nella sua camera all'Alhambra, Lily Cavanaugh Sawyer alzò improvvisamente gli occhi dal libro che stava leggendo. Le era parso di sentire qualcuno... no, non una voce qualsiasi, quella di Jack! Qualcuno che la chiamava dal corridoio, se non addirittura dall'atrio. Restò in ascolto, gli occhi spalancati, le labbra spinte in fuori, il cuore carico di speranza... ma non c'era niente. Jacky era ancora lontano, il cancro ancora la stava divorando, boccone dopo boccone, e mancava ancora un'ora e mezzo a quando avrebbe ingerito un'altra di quelle grosse compresse marrone che lenivano in parte il suo dolore.

Sempre più spesso meditava se prendere tutte quelle grosse pillole in una volta sola. Allora non avrebbe solo diminuito un po' il dolore, lo avrebbe eliminato per sempre.

Solo per Jack si tratteneva. Desiderava tanto rivederlo che adesso arrivava addirittura a immaginarsi la sua voce...

«Sei proprio una vecchia ciabatta impazzita», gracchiò, accendendosi fra le dita smagrite e tremanti una delle sue Catramose. Tirò due boccate e poi la spense. Più di due boccate le provocavano accessi di tosse, in questi tempi, e la tosse le lacerava i polmoni. «Una vecchia ciabatta impazzita.» Riprese il libro, ma non riuscì a leggere perché le lacrime le scendevano per la faccia e le viscere le dolevano, oh che male che le facevano e aveva voglia di prendere tutte quelle compresse marrone, ma prima voleva rivederlo, rivedere il suo caro figliolo con quella bella fronte spaziosa e quegli occhi luminosi.

Torna a casa, Jacky, pensò, ti prego torna a casa presto o la prossima volta dovrai interpellare un medium per parlare con me. Ti prego, Jack, ti prego, torna a casa.

Chiuse gli occhi e cercò di dormire.

 

4

 

Il cavaliere armato che impugnava la palla di ferro vacillò ancora per un momento mostrandogli il vuoto dell'elmo e poi esplose. L'unico superstite alzò il suo martello da battaglia... quindi rovinò semplicemente a terra in un cumulo di ferraglie. In mezzo allo sfacelo Jack indugiò per un momento, sempre ridendo, poi guardò il plettro di Svelto.

Il colore giallo era ora intenso e antico e le screpolature di poco prima si erano moltiplicate in un reticolo di fessure.

Non ti preoccupare, Jack Viaggiante. Vai avanti. Credo che ci sia un altro di quei barattoli ambulanti in giro da qualche parte. Se è così, lo farai fuori, non è vero?

«Se sarò costretto, lo farò», brontolò Jack.

Jack scalciò un gambale, un elmo, un pettorale. Scese al centro del corridoio e il tappeto guai sotto le sue scarpe. Arrivò all'atrio e si guardò rapidamente intorno.

Jack! Vieni a me! Giasone! Vieni a me! cantò il Talismano.

Jack salì le scale. A metà si fermò a controllare il pianerottolo e vide l'ultimo dei cavalieri che lo aspettava. Era gigantesco, più di tre metri di statura, con armatura e piume nere e un bieco bagliore rosso che gli trapelava dalla fessura dell'elmo.

Nel guanto di maglia impugnava una mazza enorme.

Per un momento Jack rimase come paralizzato sulle scale, poi riprese a salire.

 

5

 

Mi hanno lasciato per ultimo il peggiore, pensò, e mentre saliva senza tema a incontrare il cavaliere nero slittò di nuovo in Giasone. Il cavaliere indossava ancora la sua armatura nera, ma questa era diversa. La visiera era sollevata a mostrare la faccia quasi completamente obliterata da vecchie vesciche rinsecchite. Giasone le riconobbe. Costui si era avvicinato troppo a una di quelle sfere di fuoco rotolanti nella Contrada Maledetta.

Incrociava altre persone sulle scale, persone che non riusciva veramente a vedere, mentre sotto le dita sentiva un corrimano largo che non era più costruito con il mogano delle Indie occidentali, bensì con il legno di carpine dei Territori. Passavano persone in cotta, in blusa di seta, donne in ampie sottane scampanate con abbaglianti colli a cappuccio bianchi celati da acconciature da favola; gente bellissima e tetra, come sempre forse appaiono i fantasmi ai viventi. Perché altrimenti l'idea dei fantasmi deve ispirare tanto terrore?

Giasone a me! cantò il Talismano e per un attimo nella realtà si produsse come una rottura e Giasone ebbe la sensazione non già di flippare bensì di cadere attraverso svariati mondi, come quando si cade attraverso i pavimenti marci di un'antica torre di legno. Ma non ebbe paura. Lo sfiorò l'idea che forse non sarebbe mai più riuscito a tornare indietro, che avrebbe continuato a cadere da una realtà all'altra per sempre o che si sarebbe perso come in una vasta foresta. Ma scacciò subito quel pensiero. Tutto questo stava accadendo a Giasone

(e a Jack)

in un batter d'occhio. In un tempo più breve di quello che impiegava il suo piede a staccarsi da un gradino per posarsi su quello successivo. Sarebbe tornato. La sua natura era unica e non riteneva che fosse possibile a una persona come lui di perdersi, perché aveva un posto preciso in ciascuno di questi mondi. Ma non esisto simultaneamente in tutti, pensò Giasone.

(Jack)

Qui sta la differenza importante. Sfreccio attraverso ciascuno di essi, probabilmente troppo velocemente per distinguere qualcosa, lasciandomi dietro un suono simile a un battimani o a un bang supersonico, e l'aria si richiude dopo la mia fugace presenza, non più duratura di un millesimo di secondo.

In molti di questi mondi l'abergo nero era un nero rudere. Questi erano mondi nei quali il male agghiacciante che ora incombeva sull'esile filo che univa la California ai Territori si era già verificato. In uno di essi il mare che ruggiva e ringhiava lungo il litorale era di un disgustoso color verde; anche il cielo aveva un analogo aspetto di cancrena. In un altro vide una creatura volante grande come un carro serrare le ali e scendere in picchiata come un falco. Artigliò una creatura simile a una pecora e riprese quota reggendo nel becco la groppa insanguinata della sua vittima.

Flip... flip... flip... I mondi gli passavano davanti agli occhi come un mazzo di carte mescolato da un giocatore professionista a bordo di un battello fluviale.

Poi fu di nuovo l'albergo e sopra di lui si avvicendarono una mezza dozzina di versioni del cavaliere nero, ma in ciascuna la determinazione era la medesima e le differenze erano di marginale importanza come nella linea di case automobilistiche rivali. Qui c'era una tenda nera piena dell'odore penetrante e secco di tele marcite; era strappata in molti punti attraverso i quali il sole faceva entrare raggi polverosi e contrastanti. In questo mondo Jack/Giasone era arrampicato su una sorta di scala di corda e il cavaliere nero era dentro a una cesta di legno simile a un nido di corvo. E mentre saliva flippava ripetutamente.

Qui tutto l'oceano era incendiato; qui l'albergo somigliava molto a quello di Point Venuti, solo che era per metà sprofondato nei flutti. Per un momento gli parve di essere in una cabina di ascensore e il cavaliere, in piedi su di essa, lo sbirciava attraverso la botola del soffitto. Poi si trovò su una scala d'imbarco, difesa in cima da un serpente enorme il cui lungo corpo muscoloso era corazzato da scaglie nere e lucenti.

E quando sarò giunto in fondo all'universo? Quando smetterò di precipitare attraverso i pavimenti e sprofonderò nelle tenebre?

Jack! Giasone! lo chiamò il Talismano in tutti i mondi contemporaneamente. A me!

E Jack andò e fu come tornare a casa.

 

6

 

Vide che aveva avuto ragione. Era semplicemente salito per quell'unica scala dell'albergo nero. La realtà si era risolidificata. Il cavaliere nero, il suo cavaliere nero, il cavaliere nero di Jack Sawyer, gli bloccava l'accesso al pianerottolo. Alzò la sua mazza.

Jack aveva paura, tuttavia continuò a salire, tenendo davanti a sé il plettro di Svelto.

«Non ho intenzione di perdere tempo con te», dichiarò. «È meglio che ti togli di mezzo...»

L'essere nero calò la sua mazza che scese con forza incredibile. Jack si scostò. La mazza passò nel punto in cui si era trovato fino a un attimo prima e polverizzò un intero gradino.

Con uno strattone, il cavaliere la disincagliò. Jack guadagnò altri due gradini. Teneva sempre fra pollice e indice il plettro di Svelto... che all'improvviso si disintegrò, cadendo in una pioggerella di frammenti ingialliti, come pezzetti di guscio d'uovo. In gran parte gli ricaddero sulle scarpe. Restò a contemplarli come intontito.

Un suono di risata funebre.

La mazza, alla quale erano rimaste attaccate minuscole schegge di legno e squame di vecchia passatoia, era di nuovo levata nell'aria fra i guanti corazzati del cavaliere. Dalla fessura dell'elmo scaturiva lo sguardo incandescente dello spettro. Era come una lama che fendeva di traverso il viso levato di Jack attraversandogli il naso.

Di nuovo quel suono liquido di ilarità che non udiva con le sue orecchie, perché sapeva che quest'armatura era vuota come tutte le altre, nient'altro che un involucro di ferro per uno spirito non morto. Hai perso, ragazzo. Credevi davvero che quel gingillino ti avrebbe permesso di sconfiggermi?

La mazza sibilò nell'aria, questa volta scendendo in diagonale e Jack distolse gli occhi dal bagliore rosso giusto in tempo per schivarla abbassandosi. Sentì la mazza che gli sfiorava i lunghi capelli un istante prima di sfondare un tratto di corrimano lungo un metro facendo volare pezzi da tutte le parti.

Un frusciare metallico. Il cavaliere si chinava verso di lui e l'elmo inclinato assunse come un'espressione, un'odiosa e sarcastica parodia di sollecitudine... poi la mazza salì nuovamente nell'aria preparandosi a un'altra di quelle botte portentose.

Jack, non avevi bisogno di alcun succo magico per migrare e di alcun plettro magico per spegnere il gas sotto questa caffettiera!

La mazza sfrecciò nuovamente nell'aria, vuussssccccc! Jack tirò in dentro lo stomaco spostandosi all'indietro. Le fasce muscolari delle sue spalle gridarono di dolore contraendosi sulle ferite lasciategli dai guanti chiodati.

La mazza gli mancò il petto di meno di un centimetro prima di strappare dai loro alloggiamenti una fila di colonnine della balaustra come fossero state altrettanti stuzzicadenti. Jack barcollò sul vuoto in un'assurda imitazione di Buster Keaton. Cercò di aggrapparsi ai resti del corrimano sulla sua sinistra e si conficcò alcune schegge sotto le unghie. Il dolore che provò fu così affilato e penetrante che per un momento credette che gli schizzassero via gli occhi. Poi riuscì a trovare un saldo appiglio con la destra e poté allontanarsi dal precipizio.

Tutta la magia è dentro di te, Jack. Non l'hai ancora capito?

Indugiò per un momento, boccheggiando, quindi riprese a salire, gli occhi fissi sull'elmo di ferro.

«È meglio che ve ne andiate, Sir Gawain.»

Il cavaliere inclinò di nuovo il suo grande elmo in un gesto persino aggraziato: Pardon, ragazzo mio... devo desumere che stai parlando a me? E la mazza scese di nuovo.

Forse accecato dalla paura, Jack non aveva notato finora la lentezza con la quale si disponeva a vibrare i suoi colpi, non si era accorto di quanto la traiettoria di ciascuno di essi fosse chiaramente telegrafata. Forse aveva le giunture arrugginite, pensò. A ogni modo gli era facile tuffarsi sotto l'arco del colpo che vibrava, ora che aveva ritrovato la sua lucidità mentale.

Si alzò sulla punta dei piedi, allungò le braccia e afferrò l'elmo nero. Il metallo era sgradevolmente caldo, come una pelle dura con la febbre.

«Scompari dalla faccia di questo mondo», pronunciò in un tono di voce che era basso e calmo, quasi colloquiale. «Nel suo nome te lo comando.»

La luce rossa dell'elmo si spense con uno sbuffo, come la candela dentro a una zucca scavata, e all'improvviso il peso dell'elmo, almeno sette o otto chili, fu tutto nelle mani di Jack perché non c'era più niente a sorreggerlo: al di sotto dell'elmo la corazza si era accartocciata su se stessa.

«Avresti dovuto uccidere tutti e due i fratelli Ellis», concluse Jack, gettando l'elmo giù dal pianerottolo. Urtò il pavimento sottostante con un rumore forte e rotolò via come un giocattolo. Tutto l'albergo s'accucciò impaurito.

Jack si girò verso l'ampio corridoio del primo piano e qui finalmente vide luce, luce pulita, limpida, come quella che c'era nell'aria il giorno in cui aveva visto gli uomini che volavano nel cielo. Il corridoio portava a un'altra porta a due battenti che erano chiusi, ma da sopra e da sotto, nonché dallo spiraglio verticale dove i due battenti s'incontravano, filtrava luce a sufficienza da fargli capire che doveva essere assai potente.

Desiderava ardentemente vedere quella luce, vedere la fonte di quella luce; tanto aveva viaggiato per vederla, tante tenebre fitte e insidiose aveva attraversato.

I battenti erano pesanti, arricchiti da ornamenti traforati. Su di essi, in foglie d'oro disposte a formare lettere, lievemente scorticate ma ancora perfettamente leggibili, c'erano le parole SALA DA BALLO DEI TERRITORI.

«Ehi, mamma», chiamò Jack Sawyer, con una voce dolce un po' incantata, mentre s'incamminava in quel bagliore. Un'ondata di felicità gli accese il cuore e quella sensazione era di arcobaleno, arcobaleno, arcobaleno. «Ehi, mamma, credo di essere arrivato, credo davvero di essere arrivato.»

Delicatamente, allora, e con soggezione, Jack impugnò le maniglie e le abbassò. Aprì i battenti e contemporaneamente un fascio di luce brillante gli si aprì sul viso incantato.

 

7

 

Il reverendo Gardener si trovava sulla spiaggia nel preciso istante in cui Jack liquidava l'ultimo dei cinque Cavalieri Guardiani. Udì un rombo sordo, come per l'esplosione di una carica di dinamite nell'albergo. Contemporaneamente una luce violenta saettò su tutte le finestre del primo piano e tutti i simboli d'ottone, lune e stelle e planetoidi e frecce ricurve, si fermarono simultaneamente.

Da come si era conciato sembrava uno sceriffo di una forza paramilitare di sorveglianza. Sulla camicia bianca aveva indossato un gonfio giubbino antiproiettile di colore nero e appeso a una spalla con una cinghia di tela aveva un ricetrasmettitore. La tozza antenna dell'apparecchio dondolava avanti e indietro a ogni suo movimento. Sull'altra spalla portava appeso un Weatherbee 360, un fucile da caccia grande quasi quanto un cannoncino antiaereo.

Gardener l'aveva acquistato sei anni prima, quando le circostanze l'avevano indotto a sbarazzarsi del suo vecchio fucile da caccia. La custodia in autentica pelle di zebra del Weatherbee era nel baule di una Cadillac nera insieme con il cadavere di suo figlio.

«Morgan!»

Morgan non si girò. Si trovava dietro a una formazione inclinata di rocce che emergevano dalla sabbia come zanne nere. Cinque metri più in là e a meno di due metri dalla linea dell'alta marea giaceva Svelto Parker, alias Parkus. Parkus aveva un giorno ordinato che Morgan di Orris fosse marchiato e c'erano infatti cicatrici livide all'interno delle grosse cosce bianche di quel Morgan, segni dai quali nei Territori veniva riconosciuto un traditore. Era stato solo per intercessione della Regina Laura in persona se quelle ferite non gli erano state inferte alle guance, invece che alle cosce, dove erano quasi sempre nascoste dai vestiti. Morgan (l'uno e l'altro in questo caso) non aveva provato particolare gratitudine nei confronti della Regina per la sua clemenza... mentre invece aveva covato un odio cresciuto in maniera esponenziale per Parkus, l'uomo che aveva subodorato il complotto.

Ora Parkus/Parker giaceva bocconi sulla spiaggia con il cranio ricoperto da vesciche incancrenite. Sangue gli colava pigramente dalle orecchie.

Morgan desiderava credere che Parker fosse ancora vivo, ancora sofferente, ma l'ultimo percettibile alzarsi e riabbassarsi della sua schiena era avvenuto poco dopo che lui e Gardener avevano raggiunto queste rocce, cinque minuti fa.

Quando Gardener lo aveva chiamato, Morgan non si era girato perché era ancora raccolto nella contemplazione del suo antico nemico, finalmente caduto. Come sbagliava colui che aveva sostenuto che la vendetta non è dolce.

«Morgan!» sibilò di nuovo Gardener.

Morgan questa volta si girò corrucciato. «Sì? Che cosa?»

«Guarda! Il tetto dell'albergo!»

Allora Morgan notò che tutte le banderuole e gli ornamenti dei tetti, vecchie forme d'ottone che ruotavano sempre alla stessa velocità sia che il vento fosse caduto, sia che ululasse un uragano, avevano smesso di muoversi. Nello stesso istante la terra fremette brevemente sotto i loro piedi. Come se una bestia sotterranea di dimensioni gigantesche si fosse scrollata nel sonno della sua ibernazione. Morgan avrebbe anche creduto di esserselo immaginato se non avesse visto Gardener sgranare gli occhi iniettati di sangue. Scommetto che adesso rimpiangi di aver lasciato l'Indiana, Gard, rifletté Morgan. Non ci sono terremoti nell'Indiana, vero?

Luce silenziosa balenò di nuovo da tutte le finestre dell'Agincourt. «Che cosa significa, Morgan?» domandò Gardener, arrochito. Morgan vide che il furore forsennato da cui era dominato da quando aveva perduto il figlio veniva temperato per la prima volta da una certa apprensione per la propria sorte. Era una scocciatura, ma non sarebbe stato difficile fomentare in lui la frenesia di prima, se necessario. Era solo che Morgan detestava sprecare energie in questo momento per qualcosa che non riguardasse direttamente il problema di ripulire i mondi, tutti i mondi, da Jack Sawyer, il quale dal fastidio che aveva rappresentato all'origine si era trasformato nel problema più mostruoso di tutta la sua vita. La ricetrasmittente di Gardener latrò.

«Comandante squadra rossa numero quattro a reverendo! Risponda, reverendo!»

«Qui reverendo, comandante di squadra rossa numero quattro», rispose bruscamente Gardener. «Che cosa c'è?»

In rapida successione Gardener ricevette quattro rapporti scoordinati e sovreccitati il cui tenore era il medesimo. Nulla di quanto fu riferito non era già stato registrato: lampi di luci, banderuole immobilizzate, qualcosa di simile a una scossa sismica; ciononostante Gardener reagì con elettrizzato entusiasmo facendo domande precise, chiudendo ogni trasmissione con un secco «Passo!», intervenendo talvolta con «Ripeti» oppure «Ricevuto». Sloat pensò che sembrava un pessimo attore in un film apocalittico.

Ma se serviva a mettergli un po' di pepe addosso, a Sloat andava benissimo. Gli risparmiava di dover rispondere all'interrogativo di Gardener... e adesso che ci pensava, non era da escludersi che Gardener non volesse una risposta, e che per questo si mostrasse così occupato in questa buffonata delle trasmissioni radio.

I Guardiani erano morti o fuori uso. Per questo le banderuole si erano fermate e per questo erano guizzati lampi di luce. Jack non aveva il Talismano... almeno non ancora. Se l'avesse preso, allora sì che sarebbe cominciato il vero terremoto in tutta Point Venuti. E allora Sloat a questo punto concluse che Jack lo avrebbe preso... che da sempre era stato predestinato a prenderlo, la qual cosa non lo spaventò affatto.

Si toccò la chiave che portava appesa al collo.

Gardener aveva esaurito i suoi Passo e Ricevuto e Ripeti. Si appese nuovamente il ricetrasmettitore alla spalla e rivolse occhi larghi e spaventati a Morgan. Prima che potesse pronunciare una parola, Morgan gli posò delicatamente le mani sulle spalle. Posto che fosse capace di provare affetto per qualcuno oltre al suo povero figliolo morto, lo provava per quest'uomo, certamente di una varietà alquanto contorta. La loro amicizia partiva da lontano, sia fra Morgan di Orris e Osmond, sia fra Morgan Sloat e Robert, "reverendo", Gardener.

Era stato con un fucile assai simile a quello che adesso Gardener portava alla spalla che aveva ucciso Phil Sawyer nell'Utah.

«Ascolta, Gard», cominciò con calma. «Noi vinceremo.»

«Ne sei sicuro?» bisbigliò Gardener. «Credo che abbia ucciso i Guardiani, Morgan. So che sembra una follia, ma ho la sensazione...» S'interruppe, la bocca gli tremò convulsamente, le labbra gli si coprirono di densa saliva.

«Vinceremo», ripeté Morgan, nello stesso tono calmo di prima, convinto di quel che diceva. C'era qualcosa di profetico in lui. Aveva aspettato tanti anni, e il suo fermo proposito non lo aveva mai tradito; non lo avrebbe tradito nemmeno ora. Jack sarebbe uscito con il Talismano fra le braccia. Era un oggetto di potere immenso... ma era fragile.

Osservò la carabina a cannocchiale con la quale si poteva abbattere un rinoceronte, quindi toccò la chiave che portava i fulmini.

«Abbiamo l'attrezzatura adatta con cui riceverlo quando uscirà», disse, e aggiunse: «Nell'uno o nell'altro mondo. Basta che tu non ti perda d'animo, Gard. Basta che tu resti al mio fianco».

Le labbra tremanti di Gardener si rilassarono lievemente. «Morgan, ma certo che...»

«Ricordati chi ha ucciso tuo figlio», gli rammentò Morgan sottovoce, nello stesso istante in cui Jack Sawyer aveva premuto la moneta incandescente nella testa di un mostro nei Territori. Reuel Gardener, che fin dall'età di sei anni era afflitto da leggeri attacchi di epilessia relativamente innocui (a quella medesima età il figlio di Osmond aveva cominciato a mostrare i sintomi di quello che veniva chiamato il Morbo della Contrada Maledetta), aveva subito una grave crisi a bordo di una Cadillac guidata da un Lupo in viaggio dall'Illinois alla California.

Era morto, cianotico e strangolato, fra le braccia di Gardener.

Ora gli occhi di Gardener cominciarono a strabuzzarsi.

«Ricorda», ripeté sommessamente Morgan.

«Cattivo», mormorò Gardener. «Tutti i ragazzi sono cattivi. È assiomatico. Quel ragazzo in particolare.»

«Giusto», convenne Morgan. «Tienilo bene a mente! Possiamo fermarlo, ma voglio essere assolutamente sicuro che possa uscire da quell'albergo solo sulla terraferma.»

Scese dal luogo in rilievo dal quale sorvegliava Parker. Notò che le prime mosche albine avevano cominciato a posarsi sul negro morto. Per lui era solo motivo di gioia. Fosse esistita una rivista Variety per le mosche, Morgan avrebbe volentieri acquistato spazio, spazio pubblicitario per far pubblicare una fotografia del luogo in cui si trovava Parker. Venite, accorrete tutte quante. Avrebbero depositato le loro uova nelle pieghe delle sue carni in decomposizione e l'uomo che aveva marchiato le cosce del suo Gemellante avrebbe originato larve. Che bello!

Puntò l'indice verso la terrazza. «Il battello è là sotto», disse. «Sembra un cavallo, Dio solo sa perché. È nascosto là sotto, lo so. Ma tu sei sempre stato un tiratore scelto. Se riesci a scorgerlo, Gardener, piazzagli un paio di pallottole. Affondamelo.»

Gardener si tolse il fucile dalle spalle e guardò attraverso il cannocchiale. Allungò la canna di quell'arma ingombrante e si spostò lentissimamente.

«Lo vedo», annunciò a un tratto Gardener in un bisbiglio gongolante, e fece fuoco. L'eco si srotolò sull'acqua in un lungo fragore che stentò a spegnersi. La canna sobbalzò verso l'alto. Gardener sparò di nuovo e di nuovo.

«Beccato», affermò abbassando il fucile. Aveva ritrovato il suo coraggio; gli tirava di nuovo. Sorrideva nel modo in cui aveva sorriso quand'era tornato dalla sua commissione nell'Utah.

«Adesso è solo un pezzo di gomma morta nell'acqua. Vuoi dare un'occhiata?» Offrì il fucile a Sloat.

«No», rispose Sloat. «Se mi dici che l'hai colpito, vuol dire che l'hai colpito. Adesso dovrà venire via di là sulla terraferma e noi sappiamo in quale direzione. Credo che avrà con sé quello che ci ha ostacolato per tanti anni.»

A Gardener luccicavano gli occhi.

«Propongo di avvicinarci.» Morgan gli indicò il vecchio lungomare. Era appena dietro allo steccato a ridosso del quale aveva trascorso tante ore a contemplare l'albergo pensando a quello che si trovava nella sala da ballo.

«Va be...»

Fu allora che la terra cominciò a gemere sollevandosi sotto i loro piedi: la creatura sotterranea si era risvegliata e adesso si agitava e ruggiva.

Nel medesimo istante ogni finestra nell'Agincourt fu accesa da una luce accecante, la luce di mille soli. Le finestre scoppiarono tutte insieme. Frammenti di vetro si sparsero nell'aria come una pioggia di diamanti.

«Ricorda tuo figlio e seguimi!» tuonò Sloat. Di nuovo avvertiva forte in sé quel senso di predestinazione, preciso e innegabile. Era scritto che vincesse, dopotutto.

Insieme partirono di corsa verso il lungomare.

 

8

 

Jack avanzava lentamente sul parquet della sala da ballo, colmo di meraviglia. I suoi occhi scintillavano. La sua faccia era inondata da un irraggiamento violento che conteneva tutti i colori, colori dell'aurora, colori del tramonto, colori dell'arcobaleno. Il Talismano si librava nell'aria, alto sopra di lui, e ruotava lentamente.

Era un globo di cristallo di un metro circa di circonferenza, ma era impossibile giudicare quanto grande fosse da tanto brillava la sua corona. Sembrava però che fosse percorso da linee che si attraversavano, solchi sottili, simili a longitudini e latitudini... E perché no? pensò Jack, ancora sopraffatto dallo stupore e dalla soggezione. È il mondo in un microcosmo. È tutti i mondi. È qualcosa di più ancora, è l'asse di tutti i mondi possibili.

Cantava; ruotava; splendeva.

Si fermò sotto di esso, immerso nel suo calore e nella sua forza positiva; si fermò in un sogno, sentendo quella forza che fluiva dentro di lui come la buona pioggia primaverile che risveglia le energie celate in miliardi di minuscoli semi. Sentì una gioia terribile attraversargli la mente cosciente come un missile e alzò le mani, ridendo, in risposta a quest'ondata di gioia e in imitazione del suo esplodere.

«Vieni a me, dunque!» gridò, e slittò

(verticalmente? orizzontalmente?)

in Giasone.

«Vieni a me, dunque!» gridò di nuovo in quella lingua un po' sdrucciola e dolcemente liquida dei Territori: lo gridò ridendo, ma con le lacrime che gli solcavano le guance. Capì che la spedizione di ricerca era cominciata con quell'altro ragazzo e con lui doveva concludersi; così abbassò le braccia e slittò di nuovo in Jack Sawyer.

Sopra di lui il Talismano vibrò nell'aria, ruotando lentamente, spargendo luce e calore e una sensazione di bontà autentica, di candore.

«Vieni a me!»

Cominciò a scendere verso di lui.

 

9

 

Così dopo molte settimane e prove difficili e tenebre e disperazione; dopo amici trovati e amici nuovamente perduti; dopo giorni di fatiche e notti trascorse a dormire in covoni umidi di fieno; dopo aver affrontato i demoni di luoghi bui (nessuno dei quali viveva nelle pieghe nascoste della sua anima); dopo tutto questo, in tal guisa il Talismano veniva a Jack Sawyer.

 

Lo vide scendere e sebbene non avvertisse il minimo desiderio di darsi alla fuga, fu colpito dalla precisa coscienza di mondi a repentaglio, mondi in bilico. Era reale la natura di Giasone che sentiva dentro di sé? Il figlio della Regina Laura era stato ucciso; era un fantasma il cui nome serviva da interiezione, o bestemmia, per gli abitanti dei Territori. Eppure Jack sentiva che quella natura era autentica. La ricerca del Talismano intrapresa da Jack, una ricerca che il destino aveva assegnato a Giasone, aveva fatto rivivere Giasone almeno per breve tempo. Jack aveva veramente avuto un Gemellante. Se Giasone era un fantasma, come semplici spettri erano stati i cavalieri, probabilmente sarebbe svanito quando quel globo radiante e ruotante avrebbe toccato le sue dita distese. Jack lo avrebbe ucciso di nuovo.

Non ti preoccupare, Jack, mormorò una voce. Era una voce calda e chiara.

E il globo scendeva, un mondo, tutti i mondi, era gloria e amore, era bontà, era il candore dell'innocenza ritrovata. E come da sempre vale per il candore e per sempre dovrà valere, era spaventosamente fragile.

Mentre il Talismano scendeva, innumerevoli mondi vorticavano nella sua mente. Ora non gli sembrava di precipitare da un livello di realtà a un altro, ma gli sembrava di vedere cosmi interi di realtà, l'uno sovrapposto all'altro, tutti collegati insieme come in una camicia di

(realtà)

maglia di ferro.

Stai per prendere fra le mani un universo di mondi, un cosmo di bene, Jack. Era la voce di suo padre. Non lasciarlo cadere, figliolo. Per l'amor di Giasone, non lasciarlo cadere.

Mondi su mondi su mondi, alcuni stupendi, altri diabolici, tutti per un momento illuminati dalla calda luce bianca di questa stella che era un globo di cristallo ornato da solchi sottili, saettarono nell'aria mentre il Talismano scendeva lentamente verso le mani tremanti di Jack Sawyer.

«Vieni a me!» gridò al Talismano, come fino a poco prima il Talismano aveva cantato richiamando lui. «Vieni a me, dunque.»

Era a un metro dalle sue mani ed era come se gliele stesse marchiando con il suo calore benefico; mezzo metro; venti centimetri. Esitò per un momento, ruotando piano piano con l'asse lievemente inclinato e Jack scorse i profili illuminati e mutevoli di continenti e oceani e di calotte glaciali. Esitò... e poi lentamente si fermò fra le mani del ragazzo.

 

43

Nuove da ogni dove

 

1

 

Lily Cavanaugh, che si era assopita in un sonno intermittente dopo aver immaginato di udire la voce di Jack, si drizzò a sedere nel letto. Per la prima volta da molte settimane un colorito sano le animò il giallo cinereo delle guance. Una speranza le splendette negli occhi.

«Giasone?» chiamò in un rantolo. Poi corrugò la fronte. Quello non era il nome di suo figlio, ma nel sogno dal quale si era svegliata di soprassalto aveva un figlio che portava quel nome e in quel sogno lei stessa era un'altra donna. Era per colpa di quei farmaci naturalmente. L'analgesico aveva distorto i suoi sogni.

«Jack?» provò di nuovo. «Jack, dove sei?»

Nessuna risposta... eppure lo sentiva, era sicura che fosse vivo. Dopo molto, molto tempo, forse sei mesi, si sentiva davvero bene.

«Jacky», esclamò, afferrando il pacchetto delle sigarette. Lo guardò per un momento e poi lo scagliò dall'altra parte della camera, dove cadde nel caminetto in cima a quel cumulo di altre schifezze che aveva intenzione di ardere di lì a poco. «Credo di aver appena smesso di fumare per la seconda e ultima volta nella mia vita, Jacky», annunciò. «Tieni duro, figliolo. La tua mamma ti vuole bene.»

E si ritrovò per nessun motivo a esibire un largo sorriso da idiota.

 

2

 

Donny Keegan, che al momento della fuga di Lupo si trovava a rigovernare la cucina nella Casa del Sole, era sopravvissuto a quella terribile notte. George Irwinson, il suo compagno che lo stava aiutando, non era stato altrettanto fortunato. Ora Donny si trovava in un istituto per orfani di tipo più tradizionale, a Muncie, nell'Indiana. A differenza di alcuni degli altri ospiti della Casa del Sole, Donny era un orfano vero. Gardener aveva avuto bisogno di averne almeno alcuni per soddisfare le autorità statali.

Ora, trovandosi a passare lo straccio umido su un buio pianerottolo in uno stato di vago torpore mentale, Donny alzò di scatto gli occhi appannati, sgranandoli. Di fuori, le nuvole che sputacchiavano nevischio sui campi brulli di dicembre si squarciarono all'improvviso a ovest e lasciarono trapelare un unico, largo raggio di sole che era terribile ed esaltante per la sua isolata bellezza.

«Hai ragione, è vero, lo amo davvero!» gridò Donny trionfante. Era a Ferd Janklow che Donny gridava, anche se Donny aveva già dimenticato il suo nome. È bellissimo e sono innamorato di lui. Poi ragliò la sua risata idiota, solo che adesso persino questa risata sembrò melodiosa. Alcuni altri ragazzi si affacciarono alle porte delle loro camere a guardarlo, perplessi. La sua faccia era illuminata da un unico raggio di sole, terso ed effimero, e quella sera, a un amico intimo, uno dei suoi compagni avrebbe bisbigliato che per un momento Donny Keegan gli era sembrato Gesù.

L'attimo trascorse; le nuvole andarono a ricoprire quel tratto di cielo sereno e verso sera la nevicata si era già intensificata nella prima violenta tempesta di neve della stagione. Per una frazione di secondo Donny aveva saputo che cosa significava in realtà quel sentimento di amore e di trionfo che aveva provato. Era stato un momento passato in fretta, come succede ai sogni dopo che ci si sveglia... ma non per questo avrebbe dimenticato la sensazione in sé, quella specie di svenimento, quel senso di appagamento per una promessa una volta tanto mantenuta; quella sensazione di chiarezza e di dolcezza, di amore meraviglioso; quella sensazione di estasi al rinascere del candore.

 

3

 

Il giudice Fairchild, che aveva mandato Jack e Lupo alla Casa del Sole, non era più giudice di niente e appena avesse esaurito i suoi ultimi ricorsi sarebbe finito in galera. Non c'era più alcun dubbio che quello sarebbe stato il suo capolinea e che là avrebbe scontato una pena dura. Era persino probabile che non ne venisse mai più fuori. Era un uomo anziano e non godeva di buona salute. Se non avessero mai trovato quei dannati corpi...

Aveva conservato un certo ottimismo a dispetto delle circostanze, ma ora, seduto a pulirsi le unghie con la lunga lama del suo coltello da tasca nello studio della sua abitazione, si sentì piombare addosso una grande onda grigia di depressione. All'improvviso allontanò il coltello dalle sue unghie spesse, lo contemplò per un momento, quindi si inserì la punta della lama nella narice destra. Così restò qualche secondo, poi mormorò: «Oh merda. Perché no?». Con un colpo secco s'infilò i quindici centimetri di lama nel naso in un breve e fatidico viaggio che gli trafisse i tessuti e poi il cervello.

 

4

 

Smokey Updike sedeva in un separé all'Oatley Tap, occupato a riesaminare un pacco di fatture e ad addizionare numeri sulla sua calcolatrice, proprio come faceva il giorno dell'arrivo di Jack. Solo che adesso erano le prime ore della sera e Lori stava servendo i primi clienti. Il juke-box suonava. Tutto era normale. Poi Smokey trasalì irrigidendosi e il suo cappellino di carta gli cadde dalla testa. Si afferrò la maglietta bianca sul lato destro del petto, dove si era sentito colpire da una fitta di dolore peggiore di una pugnalata. Dìo pianta i suoi chiodi, avrebbe declamato Lupo.

Nel medesimo istante la graticola esplose con un colpo di tuono. Colpì una pubblicità luminosa della birra strappandola dal soffitto. L'insegna cadde con fragore. Dietro al bar l'aria fu riempita quasi subito dall'odore penetrante del gas. Lori gridò. Il juke-box aumentò la velocità: quarantacinque giri, settantotto, centocinquanta, quattrocento! La comica voce lamentosa della donna diventò il forsennato chiacchiericcio di scimmiette impazzite. Un attimo dopo la parte superiore della macchina esplose. Vetri colorati volarono da tutte le parti.

Smokey guardò la sua calcolatrice e vide lampeggiare nella finestrella rossa un'unica parola: TALISMANO-TALISMANO-TALISMANO-TALISMANO.

Poi gli scoppiarono gli occhi.

«Lori, spegni il gas!» urlò uno degli avventori. Scese dallo sgabello e si girò verso Smokey. «Smokey... dille...» Ma cacciò un grido di spavento vedendo il sangue che sprizzava dalle orbite di Smokey Updike private degli occhi.

Un momento più tardi tutto il bar saltò in aria e, prima che le autopompe giungessero da Dogtown ed Elmira, quasi tutto il centro cittadino era avvolto dalle fiamme.

Non fu una grande perdita, ragazzi, ripetete con me amen.

 

5

 

Alla Thayer School, dove ora regnava la normalità di sempre (con un breve intermezzo rimasto impresso nella memoria collettiva solo come una serie di sogni vaghi e stranamente collegati fra loro), erano cominciate le ultime lezioni della giornata. Quella che nell'Indiana era neve leggera, qui era una pioggerella gelida. Gli studenti sedevano nelle aule pensierosi e un tantino distratti.

All'improvviso squillarono le campane della cappella. Le teste si alzarono. Gli occhi si dilatarono. Fu come se certi sogni quasi dimenticati si rinnovassero in tutta la scuola.

 

6

 

Etheridge sedeva ad assistere alla lezione di matematica superiore e con la mano si stava schiacciando ritmicamente il pene violentemente eretto, con gli occhi fissi sui logaritmi che il vecchio signor Hunkins stava accumulando sulla lavagna. Intanto pensava alla graziosa camerierina che si sarebbe sbattuto più tardi quella sera. Portava il reggicalze invece dei collant ed era più che disposta a tenere le calze addosso mentre scopavano. Ora Etheridge si girò a guardare dalla finestra e si dimenticò della sua erezione, si dimenticò della cameriera con le sue lunghe gambe e il nylon sottile. All'improvviso, per nessun motivo apparente, pensava a Sloat. Lezioso piccolo Richard Sloat, che si sarebbe così facilmente potuto classificare come impiastro, ma che chissà perché non lo era. Pensava a Sloat e si chiedeva se stesse bene. Aveva la strana sensazione che forse Sloat, che aveva abbandonato la scuola senza alcuna giustificazione da quattro giorni e del quale non si avevano più notizie, non se la stesse proprio cavando al meglio.

 

Nell'ufficio della presidenza, il signor Dufrey stava discutendo l'espulsione di un ragazzo che si chiamava George Hartfield con il suo genitore, uomo tanto ricco quanto attualmente furibondo; in quel momento suonarono le campane intonando fuori tempo il loro motivetto. Quando lo scampanio cessò, il signor Dufrey si trovò carponi, con i capelli grigi che gli pendevano davanti agli occhi e la lingua fra le labbra. Hartfield padre era alla porta, praticamente schiacciato contro di essa, gli occhi strabuzzati e la bocca spalancata, immemore della sua ira di poco prima, in preda allo sbigottimento e alla paura. Da qualche istante il signor Dufrey sgambettava sul tappeto abbaiando come un cane.

 

Albert detto Bombolo si accingeva a fare uno spuntino nel momento in cui le campane avevano cominciato a suonare. Aveva guardato per un attimo verso la finestra, inarcando le sopracciglia come si fa quando si cerca di ricordare qualcosa che si ha sulla punta della lingua. Alzò le spalle e tornò al suo sacchetto di patate fritte. Sua madre gliene aveva appena inviato un intero scatolone. Sgranò gli occhi. Credette, solo per un momento, ma anche un momento era sufficiente, che il sacchetto fosse pieno di grassi vermi bianchi.

Cadde tramortito da uno svenimento.

Quando riprese i sensi ed ebbe radunato abbastanza coraggio da guardare di nuovo il sacchetto, si rese conto che era stata solo un'allucinazione. Ma naturale! Che cos'altro, se no! Tuttavia quell'allucinazione esercitò su di lui una strana influenza da quel momento in poi; ogni volta che apriva un sacchetto di patatine, o che scartava una tavoletta di cioccolato, o che strappava la confezione di una merendina, rivedeva con gli occhi della mente quel groviglio di vermi. Ora di primavera Albert aveva perso venti chili, giocava nella squadra di tennis della Thayer School e si era fatto la prima scopata. Era perennemente sull'onda dell'estasi. Per la prima volta in vita sua aveva la sensazione di poter anche sopravvivere all'amore di sua madre.

 

7

 

Tutti si guardarono attorno quando le campane cominciarono a suonare. Alcuni risero, alcuni corrugarono la fronte, alcuni scoppiarono a piangere. Qualche cane si mise a ululare in lontananza e qualcuno restò perplesso perché non potevano esserci cani alla scuola.

Il motivetto intonato dalle campane non era fra quelli che erano stati computerizzati, fatto in seguito verificato dall'indispettito capo dei custodi. Un trafiletto che apparve nell'edizione settimanale del giornalino della scuola ipotizzava che fosse stato programmato da qualche buontempone che aveva già in mente le vacanze di Natale. Il motivo era stato Sono tornati i giorni felici.

 

8

 

Sebbene convinta di essere ormai troppo vecchia per restare ancora gravida, la madre del Lupo di Jack Sawyer aveva saltato il mestruo all'epoca della muta, più o meno dodici mesi addietro. Tre mesi fa aveva dato alla luce una figliata di due femmine e un maschietto. Il suo era stato un parto travagliato e la preveggenza della morte precoce di uno dei suoi figli già adulti aveva reso più dolorose le sue doglie. Sapeva che quel figlio era andato nell'Altro Posto per proteggere la mandria e che in quell'Altro Posto sarebbe morto e che lei non l'avrebbe mai più rivisto. Tutto questo era molto penoso e ne aveva pianto più che per le doglie del suo parto.

Ora tuttavia, mentre dormiva con i suoi cuccioli sotto una luna piena, a distanza di sicurezza dalla mandria, si girò con un sorriso sul muso, tirò a sé l'ultimo figliolo maschio e cominciò a leccarlo. Ancora addormentato il Lupacchiotto mise le braccia attorno al collo villoso di sua madre e premette la guancia contro il suo seno gonfio; poi entrambi sorrisero. Nel sonno, la Lupa formulò un pensiero umano: Dio pianta i suoi chiodi nella sua onniscienza. E la luna di quel mondo meraviglioso dove tutti gli odori sono buoni illuminò madre e figlio che dormivano abbracciati accanto alle due piccole Lupe.

 

9

 

A Goslin nell'Ohio (non lontano da Amanda e una trentina di miglia a sud di Columbus), un uomo di nome Buddy Parkins spalava escrementi di gallina nel suo pollaio verso l'imbrunire. Si proteggeva naso e bocca con una mascherina per evitare di respirare la soffocante nuvola bianca di guano polverizzato. Forte era l'odore di ammoniaca; il puzzo gli stava facendo venire il mal di testa. Aveva anche mal di schiena perché era alto e la baracca del pollaio non lo era. Tutto considerato, doveva convenire che questa era una bella schifezza di lavoro. Aveva tre figli e chissà perché, tutte le volte che c'era bisogno di ripulire il pollaio, non uno di loro era a portata di mano. Unico aspetto positivo era che aveva quasi finito e...

Il ragazzo! Gesù Cristo! Quel ragazzo!

Ricordò all'improvviso quel ragazzo che si faceva chiamare Lewis Farren ed ebbe una visione nitida e pervasa di una sorta di affetto stupefatto. Il ragazzo che aveva sostenuto di essere in viaggio per andare dalla zia, Helen Vaughan, a Buckeye Lake; il ragazzo che quando Buddy gli aveva chiesto se stesse scappando di casa si era girato verso di lui mostrandogli un viso colmo di sincera bontà e di inaspettata, sorprendente bellezza: una bellezza che aveva fatto pensare a Buddy ad arcobaleni scorti di sfuggita allo spegnersi dei temporali e a tramonti di giornate che avevano grondato del sudore di un lavoro ben fatto.

Si raddrizzò lasciandosi sfuggire un'esclamazione soffocata e picchiò con la testa contro le travi del pollaio tanto da farsi lacrimare gli occhi... eppure sorrideva come uno scemo. Oh mio Dio, ci è arrivato, quel ragazzo è arrivato, pensò Buddy Parkins che, sebbene non avesse la più pallida idea di "dove" fosse arrivato, si sentì invadere a un tratto da una sensazione dolce e violenta di avventura romanzesca; mai, dai tempi in cui aveva letto L'isola del tesoro all'età di dodici anni, o aveva posato la mano a coppa sul seno di una ragazza a quattordici, si era sentito così sconcertato, così eccitato, così pieno di gioia e calore. Si mise a ridere. Lasciò cadere la vanga e, sotto lo sguardo stupido delle sue galline, Buddy Parkins ballò una giga nello sterco di pollo, ridendo dietro la maschera e facendo schioccare le dita.

«È arrivato!» gridò alle galline. «Perdindirindina, è arrivato, ce l'ha fatta, dopotutto! È arrivato... e l'ha preso!»

In seguito gli venne il sospetto di essere stato in qualche modo drogato dal puzzo degli escrementi polverizzati. Ma sapeva che non era così. Non poteva essere solo quello. Aveva avuto una rivelazione, anche se non ricordava più bene quale. Doveva essergli successo qualcosa di simile a quanto accaduto a quel poeta inglese di cui gli aveva raccontato un insegnante del liceo: costui aveva fumato una dose rilevante di oppio e si era messo a scrivere una poesia su una fantastica casa di tolleranza cinese... solo che quando era ritornato con i piedi sulla terra non era più stato in grado di finirla.

Qualcosa del genere, pensò, eppure sentiva che non era così; e sebbene non ricordasse esattamente che cosa avesse provocato tanta gioia, anche lui, al pari di Donny Keegan, non scordò mai più il modo in cui quella gioia lo aveva invaso, deliziosamente inaspettata; non avrebbe mai dimenticato quella sensazione dolce e violenta di aver sfiorato una grande avventura, di aver scorto per un momento una stupenda luce bianca che in effetti conteneva tutti i colori dell'arcobaleno.

 

10

 

C'è una vecchia canzone di Boddy Darin che dice: «And the ground coughs up some roots/wearing denim shirts and boots,/haul em away... haul em away». (E la terra sputa fuori certe radici/con tanto di stivali e camicia, /portale via... portale via.) Era una canzone che i bambini della zona di Cayuga, nell'Indiana, avrebbero potuto far propria con entusiasmo, se fosse stata più recente. La Casa del Sole era vuota da poco più di una settimana e già si era guadagnata fra i ragazzi del luogo la reputazione di casa stregata. Visti i macabri resti rinvenuti vicino alla parete rocciosa dietro il Campo Lontano, non c'era da stupirsi. Il cartello VENDESI piantato nel prato sembrava vecchio di un anno invece che di nove giorni e l'agente immobiliare aveva già ridotto il prezzo una volta e meditava di abbassarlo ulteriormente.

Non ne ebbe bisogno. Al cadere dei primi fiocchi di neve dai cieli plumbei di Cayuga (e nel momento in cui Jack Sawyer toccava il Talismano a duemila miglia di distanza), esplosero le bombole di gas liquido nel ripostiglio dietro la cucina. Un operaio dell'azienda del gas dell'Indiana orientale era venuto la settimana prima a pompare tutto il gas dalle bombole nella sua autobotte e avrebbe giurato e spergiurato che si sarebbe potuto accendere una sigaretta dentro a quei contenitori senza alcun pericolo. Eppure esplosero lo stesso: esplosero nel preciso istante in cui esplodevano le finestre dell'Oatley Tap scagliando schegge di vetro nella strada (insieme con un buon numero di avventori in stivali e camicia, successivamenti portati via dalle squadre di soccorso di Elmira).

La Casa del Sole fu ridotta in cenere in un batter d'occhio.

Dite con me hallelujah.

 

11

 

In tutti i mondi ogni cosa si spostò e risistemò in una posizione lievemente diversa, come un'enorme fiera... ma a Point Venuti la fiera era nel sottosuolo; era stata svegliata e adesso ruggiva. Tornò ad addormentarsi solo settantanove secondi più tardi, secondo l'Istituto Sismico di CalTech.

Era cominciato il terremoto.

 

44

Il terremoto

 

1

 

Passò del tempo prima che Jack si rendesse conto che l'Agincourt gli stava cadendo a pezzi tutt'attorno, e non c'era di che meravigliarsi. In quegli attimi era in uno stato di rapimento. In un certo senso non si trovava affatto all'Agincourt, e nemmeno a Point Venuti, nemmeno nella contea di Mendocino, nemmeno in California e nemmeno nei Territori americani o in quegli altri Territori; eppure c'era e contemporaneamente era in un numero infinito di altri mondi e neppure si trovava in un luogo preciso di tutti questi mondi. Era in essi dappertutto, perché lui stesso era quei mondi. Dunque il Talismano era ancor più di quel che aveva intuito suo padre. Non era solo l'asse di tutti i mondi possibili, ma era i mondi stessi, essi e gli spazi fra di essi.

Era un'esperienza abbastanza trascendentale da far dare di volta il cervello anche a un santone tibetano abitatore di caverne. Jack Sawyer era dappertutto; Jack Sawyer era tutto. Uno stelo d'erba nel cinquantamillesimo mondo della catena a partire dalla Terra morì di sete in un irrilevante pianoro al centro di un continente che corrispondeva approssimativamente all'Africa. Jack morì con quello stelo d'erba. In un altro mondo due draghi copulavano al centro di una nuvola alta nel cielo del pianeta e l'alito focoso della loro estasi si mescolava con l'aria fredda provocando precipitazioni e inondazioni sul terreno sottostante. Jack era il drago maschio; Jack era il drago femmina; Jack era lo sperma; Jack era l'uovo. Lontano un milione di universi tre bruscoli di polvere galleggiavano vicini nello spazio interstellare. Jack era la polvere e Jack era lo spazio. Le galassie si dipanavano intorno alla sua testa come lunghi rotoli di carta e il fato le punzonava creando disegni casuali, trasformandole in macrocosmiche partiture per pianola di ritmi svariati, dal ragtime ai canti funebri. I denti felici di Jack morsicarono un'arancia; la carne infelice di Jack urlò sentendosi morsicare. Era un miliardo di briciole di polvere sotto milioni di letti. Era un cangurino che sognava di una precedente vita nel marsupio di sua madre, mentre la madre saltava in una pianura viola dove correvano e sgambettavano conigli grossi come caprioli. Era un prosciutto all'osso in Perù e uova nella paglia sotto una delle galline del pollaio che Buddy Parkins stava ripulendo nell'Ohio. Era lo sterco polverizzato che penetrava nel naso di Buddy Parkins; era i peli irritati delle sue narici che ben presto avrebbero indotto Buddy Parkins a sternutire; era lo sternuto; era i germi dello sternuto; era gli atomi dei germi; era gli elettroni negli atomi che viaggiavano a ritroso nel tempo verso il big bang al principio della creazione.

Il suo cuore perse un battito e mille soli si trasformarono in novae.

Vide un nido di passeri in un nido di mondi e di ciascuno visse la caduta e il benessere.

Morì nell'inferno delle miniere dei Territori.

Visse come virus influenzale nella cravatta di Etheridge.

Corse nel vento su luoghi remoti.

Fu...

Oh fu...

Fu Dio. Dio, o qualcosa di così simile da rendere ogni differenza insignificante.

No! gridò Jack di terrore. No, non voglio essere Dio! Aiuto! Aiuto, non voglio essere Dio, voglio solo salvare la vita di mia madre!

E all'improvviso l'infinito si richiuse come una mano perdente fra le dita di un giocatore d'azzardo di professione. Si restrinse in un fascio di luce accecante sulla quale fu nuovamente proiettato nella sala da ballo dei Territori, dove erano trascorsi solo pochi secondi. Teneva ancora il Talismano fra le mani.

 

2

 

All'esterno il terreno aveva cominciato ad agitarsi come un ballerino di luna park. La marea che stava salendo ci ripensò e cominciò a retrocedere esponendo sabbia profondamente abbronzata come le cosce di una stellina del cinema. Si dibattevano su questa sabbia scoperta strani pesci, alcuni dei quali sembravano grappoli gelatinosi di occhi.

Ufficialmente si sosteneva che le scogliere dietro la cittadina erano di roccia sedimentaria, ma qualsiasi geologo gli avesse dato un'occhiata avrebbe dichiarato all'istante che queste rocce stavano alla classificazione di sedimentarie quanto i nuovi ricchi ai Quattrocento. In verità l'altopiano di Point Venuti non era altro che fango con un'erezione e adesso cominciò a spaccarsi e a fendersi in mille direzioni. Resistette per qualche attimo, finché le crepe si aprirono e richiusero come bocche rantolanti, poi cominciò a crollare in innumerevoli smottamenti sull'abitato. E fra le cascate di terra rotolavano giù massi grandi come edifici.

La brigata lupesca di Morgan era stata decimata dall'attacco di sorpresa portato da Jack e Richard a Campo Pronto. Ora il loro numero si era ulteriormente assottigliato, perché molti di loro se la davano a gambe urlando per paura e superstizione. Alcuni si ricatapultarono nel proprio mondo. Fra questi qualcuno se la cavò, ma la maggior parte furono travolti dagli sconvolgimenti che si stavano verificando anche là. Cataclismi analoghi si trasmettevano da qui a tutti gli altri mondi, trapassati come una forma di formaggio da una bacchetta di campionatura. Tre Lupi che indossavano il giubbino motociclistico dei Diavoli di Fresno raggiunsero la loro automobile e riuscirono a percorrere un isolato e mezzo nel chiasso musicale di Harry James che usciva dal registratore prima che un masso piombasse dal cielo e riducesse l'automobile a una lamina di metallo.

Altri correvano semplicemente per le strade gridando, già in preda alla loro muta. Passò la donna con la catenella infilata nei capezzoli. Camminava serena e serenamente si strappava ciuffi di capelli. Uno di questi lo offrì a un Lupo. Le radici sanguinolente oscillarono come erba nel vento mentre lei ballava un valzer sul terreno instabile.

«Prendi!» gridò con un sorriso sereno. «Un bouquet! Per te!»

Il Lupo, per niente sereno, le staccò la testa dal collo con un preciso scatto di fauci e continuò a correre, correre, correre.

 

3

 

Jack studiò l'oggetto che aveva catturato, con il fiato sospeso di un bambino che è riuscito ad attirare un timido animaletto dei boschi fuori dell'erba e a indurlo a mangiargli qualcosa dalla mano.

L'oggetto riluceva fra le sue dita, più forte e più piano, più forte e più piano.

A tempo con il mio battito cardiaco, pensò.

Sembrava di vetro, ma era leggermente cedevole fra le sue mani. Se lo schiacciava, lo sentiva morbido e dai punti in cui faceva pressione partivano strisce di colore in volute incantevoli: blu inchiostro dalla mano sinistra, il più puro carminio dalla destra. Sorrise... e poi il sorriso gli morì sulle labbra.

Forse stai uccidendo un miliardo di persone facendo così, forse provochi incendi, inondazioni, Dio solo sa che cosa. Ricordati di quella torre che hai fatto crollare ad Angola...

No, Jack, bisbigliò il Talismano e allora lui capì perché cedeva alla delicata pressione delle sue mani. Era vivo, ovvio. No, Jack, tutto andrà bene, tutto andrà bene... in tutti i modi possibili andrà bene. Solo credi, sii fedele; a testa alta; non esitare ora.

Pace dentro di lui, oh che pace immensa.

Arcobaleno, arcobaleno, arcobaleno, pensò Jack, chiedendosi se sarebbe mai stato capace di lasciar andar via questo ninnolo meraviglioso.

 

4

 

Sulla spiaggia, Gardener si era gettato lungo disteso per terra per il terrore. Aveva affondato le dita nella sabbia. Miagolava.

Morgan si girò verso di lui come un ubriaco e gli strappò la rice-trasmittente dalla spalla.

«Non perdete la calma!» tuonò, prima di accorgersi di essersi dimenticato di schiacciare il pulsante di trasmissione. Lo fece ora. «NON PERDETE LA CALMA! SE CERCATE DI USCIRE DALLA CITTÀ LE ROCCE VI CASCHERANNO ADDOSSO! VENITE QUAGGIÙ, VENITE DA ME! SONO SOLO DANNATI EFFETTI SPECIALI! VENITE QUI! FORMATE UN CERCHIO INTORNO ALLA SPIAGGIA! COLORO CHE VERRANNO SARANNO RICOMPENSATI! COLORO CHE NON VERRANNO MORIRANNO NEI POZZI E NELLA CONTRADA MALEDETTA. VENITE QUAGGIÙ. È APERTO! VENITE QUAGGIÙ DOVE NIENTE VI PUÒ CASCARE ADDOSSO! VENITE QUAGGIÙ, MALEDIZIONE!»

Gettò via la ricetrasmittente che si spaccò in due. Scarafaggi con lunghe antenne cominciarono a uscirne a decine.

Si chinò e issò di peso Gardener che, sbiancato in viso, urlava come un forsennato. «In piedi, bellezza», gli disse.

 

5

 

Richard, ancora svenuto, gridò quando il tavolo sul quale era stato sdraiato prese a sobbalzare. Jack udì il suo grido ed emerse dall'ipnotica contemplazione del Talismano.

Si accorse ora che l'Agincourt si lagnava come una nave in balia di un vento di burrasca. Le assi saltavano via rivelando lo scheletro di travi sottostante. Le putrelle di legno del soffitto andavano e venivano come le spolette di un telaio. Insetti e vermi albini correvano e strisciavano scappando dalla luce abbagliante del Talismano.

«Arrivo, Richard!» urlò Jack. Dopo pochi passi fu scaraventato a terra e cadde tenendo ben alta la sfera lucente perché sapeva che era vulnerabile e che, se fosse stata urtata troppo forte, si sarebbe spezzata. E Dio solo sapeva che cosa sarebbe successo allora. Si rialzò su un ginocchio, fu ricacciato all'indietro e cadde sulle natiche. Balzò nuovamente in piedi.

Richard gridava di nuovo.

«Richard! Sto arrivando!»

Giunse dall'alto un suono come di campanelle di slitta. Alzò lo sguardo e vide il lampadario che dondolava come un pendolo, sempre più velocemente. Le gocce di cristallo si urtavano producendo quel suono. In quel momento la catena si spezzò e il lampadario rovinò sul pavimento beccheggiante come una bomba di diamante. Volò vetro dappertutto.

Si girò e uscì dalla sala a lunghe falcate, zigzagando: sembrava un comico nella gag di un marinaio sbronzo.

Giù per il corridoio. Fu sospinto prima contro una parete e poi contro l'altra allo squarciarsi del pavimento. Ogni volta che cozzava contro un muro tendeva le braccia per proteggere il Talismano che brillava fra le sue mani come un tizzone ardente tenuto da una molla.

Non riuscirai mai ad arrivare da basso.

Devo. Devo.

Giunse sul pianerottolo dove aveva affrontato il cavaliere nero. Il mondo vibrò di nuovo. Jack vacillò e vide l'elmo che rotolava di qua e di là sul pavimento.

Guardò le scale. Si muovevano come torturate da un dolore lancinante, ondeggiavano così vistosamente che gli venne la nausea. Un gradino si spaccò all'improvviso lasciando un'esagitata buca nera.

«Jack!»

«Arrivo, Richard!»

Non ce la farai mai a scendere quelle scale. Non hai speranze, bamboccio.

Devo. Devo.

Con il prezioso e fragile Talismano fra le mani Jack cominciò a scendere una rampa di scale che adesso somigliava a un tappeto volante arabo preso in un uragano.

Le scale smaniarono e Jack fu catapultato verso lo stesso varco attraverso il quale era caduto l'elmo del cavaliere nero. Gridò e barcollò all'indietro verso il precipizio, tenendosi il Talismano contro il petto con la destra e cercando a tastoni dietro alla schiena con la sinistra. Ma non c'era niente. I suoi piedi raggiunsero il ciglio e le sue scarpe si rovesciarono all'insú.

 

6

 

Erano passati cinquanta secondi dall'inizio del terremoto. Solo cinquanta secondi, ma chiunque abbia sperimentato un terremoto vi dirà che il tempo oggettivo, quello dell'orologio, perde ogni significato durante una scossa sismica. Tre giorni dopo il terremoto di Los Angeles del '64, un giornalista della televisione chiese a un supersti te che si era trovato vicino all'epicentro quanto fosse durato.

«C'è ancora», aveva risposto con calma il sopravvissuto.

Sessanta secondi dopo l'inizio del terremoto, quasi tutto l'altopiano di Point Venuti decise di cedere al destino e di diventare il bassopiano di Point Venuti. Con un boato sordo e limaccioso il terreno precipitò sull'agglomerato lasciando solo un unico spuntone di roccia puntata sull'Agincourt come un dito accusatore. Da una delle nuove colline accasciate emergeva un fumaiolo sporco come un pene eccitato.

 

7

 

Sulla spiaggia, Morgan Sloat e il reverendo Gardener si reggevano l'un l'altro come se stessero ballando. Gardener si era sfilato il Weatherbee dalla spalla. Erano stati raggiunti da alcuni Lupi, i cui occhi ora erano strabuzzati per il terrore, ora erano incendiati da collera satanica. Ne stavano sopraggiungendo altri. Erano tutti mutati o in via di mutazione. Avevano gli abiti a brandelli. Morgan ne vide uno gettarsi per terra e cominciare a morsicarla, come se il suolo infido fosse un nemico da uccidere. Un furgone scese a rotta di collo attraverso la piazza centrale di Point Venuti dove un tempo i bambini supplicavano i genitori perché comprassero loro gelati e bandierine blasonate con un disegno stilizzato dell'Agincourt. Il furgone saltò sul marciapiede e piombò in direzione della spiaggia, sfondando gli steccati che delimitavano le varie proprietà. Uno squarcio si aprì nel terreno e il furgone che aveva ucciso Tommy Woodbine scomparve per sempre, a muso in giù. All'esplodere del serbatoio scaturì dal crepaccio una fiammata. Osservando la scena, a Sloat venne da pensare a suo padre che predicava del Fuoco della Pentecoste. Poi la terra si richiuse di scatto.

«Stai pronto», gridò a Gardener. «Io credo che l'albergo gli rovinerà addosso e lo schiaccerà, ma se dovesse venire fuori me lo devi ammazzare, terremoto o non terremoto.»

«Se dovesse rompersi, lo sapremmo?» gemette Gardener.

Morgan Sloat sogghignò come un cinghiale in un canneto.

«Lo sapremmo», rispose. «Il sole diventerebbe nero.»

Settantaquattro secondi.

 

8

 

Con la mano sinistra Jack trovò un appiglio sui resti scheggiati del corrimano. Il Talismano brillava feroce contro il suo petto con i meridiani e i paralleli che lo inghirlandavano fulgidi come filamenti incandescenti in una lampadina. Stava scivolando.

Cado! Svelto! Sto ca...

Settantanove secondi.

Cessò.

All'improvviso cessò.

Solo che per Jack, come per il superstite del terremoto del '64, non era ancora finito, almeno nel suo cervello. In un settore del suo cervello, la terra continuava a tremare come un budino.

Si issò dal vuoto e si alzò vacillante sulle scale contorte. Boccheggiava, aveva la faccia lucida di sudore e si teneva contro il petto la stella abbacinante del Talismano. Restò in ascolto.

Qualcosa di pesante, un comò o un armadio, forse, rimasto in bilico da qualche parte nell'albergo, precipitò in quel momento con uno schianto violento.

«Jack! Aiuto! Sto morendo!» E la voce di Richard, così disperata e inerme, sembrava davvero quella di un ragazzo ormai agli sgoccioli.

«Richard! Arrivo!»

Tornò a tracciare il suo difficile itinerario sulle scale semidistrutte e infide. Molti dei gradini erano scomparsi e in un punto ne mancavano addirittura quattro in fila e fu costretto a spiccare un salto tenendosi il Talismano al petto con una mano e facendo scivolare l'altra sulla balaustra contorta.

Calcinacci e pezzi di legno continuavano a cadere. Vetri si schiantavano e tintinnavano. Uno sciacquone continuava a rimettersi in funzione, come preso da un raptus maniacale.

Il banco della ricezione nell'atrio si era spaccato nel mezzo. I due battenti erano accostati, però, e dallo spiraglio centrale trapelava una brillante lama di luce solare. Il vecchio tappeto umido di muffe pareva sfrigolare e fumare in segno di protesta per quella luce.

Le nuvole si sono dissolte, pensò Jack, è tornato il sereno. E poi: Usciremo da quelle porte, Richie, tu e io, più grandi, più forti e più felici.

Il corridoio che passava davanti all'Heron Bar e arrivava al soggiorno gli ricordò le scene di Twilight Zone dove tutto era lento e sconnesso. Qui il pavimento era inclinato sulla sinistra; là sulla destra; qui c'erano gobbe come quelle di un cammello. Attraversò la penombra illuminandola con il Talismano, la più grande torcia elettrica del mondo.

In soggiorno trovò Richard che giaceva per terra in un groviglio di tovaglie. Gli colava il sangue dal naso. Quando gli fu più vicino vide che alcune delle sue escrescenze turgide e rosse gli si erano aperte e che dalle carni gli uscivano vermi bianchi che gli strisciavano sulle guance lasciando scie di bava. Sotto i suoi occhi gliene nacque uno dal naso.

Richard gridò, emettendo un suono distorto, debole e gorgogliante, strappandosi il verme dalla narice. Il suo era il rantolo di chi sta morendo fra mille sofferenze.

La sua camicia si muoveva, formicolante di vermi.

Jack avanzò incespicando sul pavimento accidentato... e dal buio sovrastante scese il ragno che schizzò il suo veleno alla cieca nell'aria.

«Schifoso ladruncolo!» gli gridò nella sua vocetta piagnucolosa di aracnide. «Oh, schifoso ladruncolo, rimettilo a posto, rimettilo a posto, rimettilo a posto!»

Senza pensarci, Jack alzò il Talismano. Partì un lampo bianco, fuoco di arcobaleno, e il ragno si accartocciò carbonizzato. In una frazione di secondo era ridotto a un carboncino fumante che dondolava lentamente nell'aria verso l'immobilità eterna.

Non c'era tempo di meravigliarsi di questa magia. Richard stava morendo.

Jack lo raggiunse, cadde in ginocchio al suo fianco e sollevò la tovaglia come se fosse un lenzuolo.

«Ce l'ho fatta finalmente, socio», gli bisbigliò, cercando di non guardare i vermi che gli uscivano dalle carni. Alzò il Talismano, meditò per un attimo, quindi glielo posò sulla fronte. Richard strillò disperatamente cercando di sottrarvisi. Jack lo trattenne con un braccio posato sul suo torace smagrito. Non gli era facile. Un tanfo si diffuse nell'aria al friggere dei vermi sotto il Talismano.

E adesso devo fare qualcos'altro, ma che cosa?

Si guardò attorno e i suoi occhi si posarono casualmente sulla biglia verde che aveva lasciato a Richard, quella biglia che nell'altro mondo era lo specchio magico. Allora la biglia rotolò per un paio di metri per volontà propria e si fermò di nuovo. Già, rotolava, rotolava perché era una biglia e una biglia è fatta per rotolare, perché le biglie sono sferiche. Le biglie sono sferiche ed era sferico anche il Talismano.

Fu come un'illuminazione.

Tenendo fermo Richard con una mano, Jack gli fece rotolare lentamente il Talismano per tutta la lunghezza del corpo. Dopo che gli fu arrivato al torace, Richard smise di dimenarsi. Jack pensò che fosse svenuto, ma quando gli scoccò un'occhiata al viso, trovò che l'amico lo stava contemplando con un'espressione meravigliata...

...e gli erano scomparsi i foruncoli dalla faccia! Gli stavano scomparendo le escrescenze rosse!

«Richard!» esclamò, mettendosi a ridere come uno scervellato. «Ehi, Richard, guarda che roba!»

Gli fece rotolare lentamente il Talismano sul ventre. Il Talismano brillava, fulgido, cantando una liquida armonia di salute e guarigione. All'inguine. Jack spostò le gambe di Richard perché le tenesse unite e gli fece rotolare su di esse la sfera lucente fino alle caviglie. La luce emessa dal Talismano era azzurra... rossa... gialla... verde come i prati di giugno.

Poi fu di nuovo bianca.

«Jack», mormorò Richard. «È per questo che siamo venuti qui?»

«Sì.»

«È bellissimo», commentò Richard. Dopo un attimo d'esitazione: «Posso prenderlo in mano?».

Jack fu colto da un improvviso brivido di avarizia. Trasalì stringendosi il Talismano al petto. No! Potresti romperlo! E poi è mio! Ho attraversato un continente per venirlo a prendere! Ho combattuto contro i cavalieri per conquistarlo! Non puoi averlo! È mio! È mio! È...

Fra le sue mani il Talismano irradiò un gelo terribile e per un momento più spaventoso per Jack di tutti i terremoti di questo mondo, diventò nero come la pece. Nel suo interno tenebroso e turbolento vide apparire l'albergo nero. Sulle torrette, sui tetti e sui merli, sulle sue cupole, che si assiepavano come verruche dense di malvagità, le figure cabalistiche ruotavano, lupi e corvi e simboli zodiacali.

Vuoi essere tu il nuovo albergo nero, dunque? sussurrò il Talismano. Anche un ragazzo può essere un albergo... se gli va.

Udì chiara la voce di sua madre nella mente. Se non vuoi condividerlo, Jacky, se non sei capace di metterlo a repentaglio per il tuo amico, allora avresti anche potuto restare dov'eri. Se non sei capace di far partecipare altri alla gioia del trofeo, di mettere in pericolo il trofeo conquistato, non c'è più bisogno che torni a casa. Sono scempiaggini che i ragazzi si sentono ripetere per tutta la vita, ma quando viene il momento di metterle in pratica o darsi per vinti, è sempre un'altra cosa, non è vero? Se non sei capace di condividerlo, lasciami morire, socio, perché non voglio vivere a quel prezzo.

Improvvisamente il Talismano gli sembrò immensamente pesante, pesante di corpi morti, tuttavia Jack riuscì a sollevarlo e a posarlo fra le mani di Richard. Le sue mani erano bianche e scheletriche... eppure Richard lo resse senza fatica e Jack capì che quella sensazione di peso era stata solo immaginaria, dettata da una distorsione morbosa della sua mente. Mentre il Talismano si riaccendeva della sua gloriosa luce candida, Jack sentì svanire dentro di sé il buio che gli aveva invaso l'anima. Pensò allora che si può esprimere la proprietà di un oggetto solo nei termini della tua capacità di rinunciarvi. Fu una considerazione passeggera, subito lontana.

Richard sorrise e il sorriso donò bellezza al suo volto. Jack lo aveva visto sorridere molte volte, ma in questo sorriso c'era una pace che non gli aveva mai conosciuto; era una pace che superava la sua capacità di comprensione. Nella luce tonificante del Talismano, vide che la faccia di Richard, sebbene ancora martoriata ed emaciata, stava guarendo. Si teneva il Talismano stretto al petto come se fosse un infante e sorrideva a Jack con gli occhi scintillanti.

«Se questo è l'espresso per Seabrook Island», disse, «allora mi faccio la tessera annuale. Posto che riusciamo a uscire di qui.»

«Ti senti meglio?»

Lo scintillio del sorriso di Richard gareggiò con il fulgore del Talismano. «Un mondo meglio», rispose. «Aiutami ad alzarmi, Jack.»

Jack si spostò per assecondarlo. Richard gli tese il Talismano. «Prima però prendi questo», lo esortò. «Sono ancora molto debole e vuole tornare da te. Lo sento.»

Jack prese il Talismano e aiutò Richard ad alzarsi. Poi Richard gli passò un braccio attorno al collo.

«Sei pronto... socio?»

«Sì», rispose Richard. «Sono pronto. Ma ho idea che non possiamo più tornare da dove siamo arrivati. Mi pare di aver sentito la terrazza crollare.»

«Usciremo dall'ingresso principale», dichiarò Jack. «Anche se Dio fosse venuto a costruire un ponte da quelle finestre fino alla spiaggia, uscirei lo stesso dalla porta principale. Non ce la svigneremo da qui, Richie. Usciremo da ospiti paganti. Mi pare di aver pagato abbastanza. Che cosa ne pensi?»

Richard protese la mano ossuta sulla quale si andavano rimarginando le vesciche rosse.

«Io dico che è giusto», concordò. «A noi, Jacky.»

Jack gli schiaffeggiò il palmo della mano e s'incamminò quindi con lui verso il corridoio. Richard gli teneva ancora il braccio intorno al collo.

In corridoio Richard contemplò perplesso i cumuli di ferraglie.

«Che roba è?»

«Barattoli di caffè», rispose Jack e sorrise.

«Jack, che cosa cavolo stai...»

«Lascia perdere, Richard», disse Jack. Sogghignava e si sentiva ancora bene, ma già avvertiva aumentare la tensione in tutto il corpo. Il terremoto era finito... ma non era finita. Morgan li stava certamente aspettando. Con Gardener.

Pazienza. Sia quel che sia.

Raggiunsero il vestibolo e Richard esaminò con gli occhi sgranati le scale, il banco fracassato, i trofei e le aste da bandiera sparse all'intorno. Una testa d'orso bruno impagliata era finita con il naso in una delle caselle della posta, come se stesse fiutando qualcosa di buono, miele, magari.

«Dico, qui è andato tutto a pezzi», commentò.

Arrivarono ai battenti delle porte e qui Jack si compiacque di vedere il piacere con cui l'amico fissava la sottile lama di luce che entrava dall'esterno.

«Ti senti davvero pronto, Richard?»

«Sì.»

«Là fuori c'è tuo padre.»

«No, non c'è. È morto. Quello che c'è là fuori è il suo... come lo chiami tu? Il suo Gemellante.»

«Oh.»

Richard annuì. Nonostante la vicinanza del Talismano, sembrava di nuovo stanco. «Sì.»

«È probabile che dovremo sostenere una battaglia infernale.»

«Farò quel che posso.»

«Ti voglio bene, Richard.»

Richard sorrise debolmente. «Anch'io ti voglio bene, Jack, e adesso buttiamoci nella mischia, prima che perda il coraggio.»

 

9

 

Sloat era davvero convinto di avere tutto sotto controllo. La situazione, naturalmente, ma soprattutto se stesso. E continuò a crederlo finché vide suo figlio, palesemente indebolito, evidentemente malato, ma ancora più vivo che mai, uscire dall'albergo nero con un braccio posato sulle spalle di Jack Sawyer e la testa appoggiata all'amico.

Sloat riteneva anche di aver finalmente messo sotto controllo i suoi sentimenti nei confronti del figlio di Phil Sawyer. L'ira cieca lo aveva indotto a mancarlo una prima volta al padiglione della Regina, e poi al parcheggio dell'autostrada. Cristo, aveva attraversato illeso l'Ohio, e l'Ohio era a un attimo di strada da Orris, l'altra roccaforte di Morgan. Ma il furore lo aveva spinto a un comportamento incontrollato e così il ragazzo era riuscito a sfuggirgli ancora una volta.

Aveva soppresso la sua collera... ma adesso se la sentì riattizzare dentro, esplodere all'improvviso. Era come se qualcuno avesse versato cherosene sul fuoco.

Suo figlio era ancora vivo. Il suo adorato figlio, al quale intendeva cedere la sovranità su mondi e universi, s'appoggiava a Sawyer.

E non era tutto. Splendente fra le mani di Sawyer come una stella caduta dal cielo, c'era il Talismano. E già Sloat ne avvertiva l'influenza: era come se il campo gravitazionale del pianeta fosse improvvisamente aumentato, risucchiandolo, affaticandogli il cuore; come se il tempo avesse accelerato, avvizzendogli la pelle, prosciugandogli le carni, abbassandogli la vista.

«Fa male!» gemette Gardener accanto a lui.

La maggior parte dei Lupi che avevano retto al terremoto ed erano accorsi alla chiamata di Morgan, ora indietreggiavano coprendosi la faccia con le mani. Un paio di loro stavano vomitando incontrollabilmente.

Morgan provò una vertigine di paura... e poi la sua rabbia, la sua eccitazione e la follia che si era nutrita dei suoi sogni sempre più grandiosi di dominio polverizzarono in un attimo la rete del suo autocontrollo.

Si conficcò i pollici nelle orecchie con tale violenza da procurarsi dolore. Poi spinse fuori la lingua e agitò le dita a quel lurido fottuto e morituro di Jack Sawyer. Un attimo dopo l'arcata superiore dei denti scese come una ghigliottina e gli tranciò di netto la punta della lingua.

Morgan non se ne accorse nemmeno. Afferrò Gardener per il giubbotto antiproiettile.

La faccia di Gardener era bianca di paura. «Sono usciti, l'ha preso, Morgan... mio Signore... è meglio che scappiamo, dobbiamo scappare...»

«SPARAGLI!» gli gridò in faccia Morgan. Gli spruzzò addosso il sangue della ferita che si era prodotto alla lingua. «SPARAGLI, RAZZA DI INUTILE TIRASEGHE. HA AMMAZZATO IL TUO RAGAZZO. SPARAGLI E SPARA A QUEL CAZZO DI TALISMANO! SPARAGLI FRA LE BRACCIA E FALLO SALTARE IN ARIA!»

Si era messo a ballare lentamente davanti a Gardener, con la faccia che orribilmente continuava a cambiare espressione, i pollici di nuovo nelle orecchie, le dita che si agitavano febbrilmente alle tempie, la lingua amputata che gli usciva ritmicamente dalla bocca come uno di quei fischietti di carta che si srotolano quando ci soffi dentro a carnevale. Sembrava un bambino omicida, buffo e allo stesso tempo orrendo.

«HA UCCISO TUO FIGLIO! VENDICA TUO FIGLIO! SPARAGLI! SPARAGLI! HAI AMMAZZATO SUO PADRE, ADESSO AMMAZZA LUI!»

«Reuel», mormorò Gardener meditabondo. «Sì, ha ucciso Reuel. È il bastardo figlio di cagna più cattivo che abbia mai calcato la terra. Tutti i ragazzi sono cattivi. È assiomatico. Ma lui... lui...»

Si girò verso l'albergo nero e imbracciò il Weatherbee. Jack e Richard erano arrivati ai piedi della scalinata dell'ingresso e si stavano avvicinando sul lungomare di legno che adesso era tutto sconnesso. Nel mirino del fucile, i due ragazzi erano grandi come camion.

«SPARAGLI!» ruggì Morgan. Sporse di nuovo la lingua sanguinante e levò un versaccio trionfante da asilo d'infanzia. Saltellava sulle sue scarpe insozzate. Casualmente piantò un tacco sulla punta della lingua che si era troncato affondandola nella sabbia.

«SPARAGLI! SPARAGLI!» ululava.

La canna del Weatherbee si mosse in un piccolo cerchio come era già successo quando Gardener si preparava a sparare al cavallo di gomma. Poi si fermò. Jack trasportava il Talismano all'altezza del petto.

Gardener lo traguardò piazzandone la sfera di luce al centro delle linee incrociate. Il proiettile calibro trecentosessanta lo avrebbe schiantato passandoci attraverso e il sole sarebbe diventato nero... ma prima, pensò Gardener, sarà esploso anche il petto di quel pessimo ragazzo.

«È bello che morto», bisbigliò Gardener, cominciando a esercitare pressione sul grilletto del fucile.

 

10

 

Richard alzò la testa con un grande sforzo e i suoi occhi furono trafitti da luce riñessa.

Due uomini. Uno con la testa lievemente inclinata, l'altro che sembrava ballare. Di nuovo quel lampo di luce e questa volta Richard capì. Capì... e Jack stava guardando dalla parte sbagliata, in direzione delle rocce fra le quali giaceva Svelto.

«Attento, Jack!» gridò.

Jack trasecolò. «Che cosa?»

Successe in fretta. Jack quasi non si accorse di niente. Richard vide e capì, ma non fu mai veramente capace di spiegarglielo. Di nuovo un raggio di sole fu riflesso dal mirino telescopico del fucile. Questa volta il fascio di luce colpì il Talismano e il Talismano lo fece rimbalzare sul sicario. Questo avrebbe detto in seguito Richard a Jack, ma era un po' come dire che l'Empire State Building era alto qualche piano.

Il Talismano non si limitò a riflettere il lampo di luce: lo sparò, in un certo senso. Fu come il raggio laser di un film di guerre spaziali. Durò non più di un secondo, ma restò stampato nelle retine di Richard per quasi un'ora, prima bianco, poi verde, poi blu e finalmente, quasi spento, del color giallo limone della luce solare.

 

11

 

«È bello che morto», mormorò Gardener e in quell'attimo il suo cannocchiale si riempì di fuoco vivo. Le spesse lenti esplosero. Vetro fuso gli si conficcò nell'occhio destro. I proiettili del caricatore saltarono in aria semidistruggendo l'arma. Una scheggia di metallo tagliente gli amputò quasi totalmente la guancia destra. Un nugolo di altri pezzetti contorti sibilò attorno a Sloat lasciandolo incredibilmente intatto. Degli ultimi tre Lupi rimasti, due se la diedero a gambe, il terzo giaceva morto riverso sulla schiena, gli occhi spalancati verso il cielo. Aveva il grilletto del Weatherbee piantato esattamente in mezzo agli occhi.

«Che cosa?» urlò Morgan. Era rimasto a bocca aperta e dalle labbra gli colava il sangue. «Che cosa? Che cosa?»

Gardener sembrò per un attimo il Coyote dei cartoni animati reduce dal puntuale disastroso funzionamento di uno dei suoi congegni.

Gettò via il fucile e Sloat vide che gli erano state amputate tutte le dita della mano sinistra.

Con la destra Gardener si sfilò la camicia dai pantaloni con un gesto delicatamente effeminato. All'interno della cintura aveva una guaina lunga e stretta di morbida pelle. Da essa Gardener sfilò un oggetto d'avorio rifinito di cromature. Schiacciò un bottone facendo scattare una lama affusolata lunga più di quindici centimetri.

«Cattivo», bisbigliò. «Cattivo!» ripeté alzando la voce. «Tutti i ragazzi sono cattivi! È assiomatico! È ASSIOMATICO!» Partì di corsa verso Jack e Richard che si erano fermati sul lungomare. Correva e intanto gridava con una voce sempre più stridula.

«CATTIVO! MALVAGIO! CATTIVO! MALVAGIO! CAAATTIVO! MAAAAAAAA...»

Morgan restò ancora per un momento interdetto, poi afferrò la chiave che portava appesa al collo. Impugnandola fu come se si aggrappasse contemporaneamente ai suoi pensieri che gli volavano via dalla testa, terrorizzati.

Andrà da quel vecchio negro. Ed è là che lo finirò.

«MAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA...» gridava Gardener correndo con il coltello proteso.

Morgan si girò e corse giù per la spiaggia. Distrattamente notò che tutti i Lupi erano fuggiti. Non ne fu affatto demoralizzato.

Avrebbe sistemato Jack Sawyer e il suo dannato Talismano, da solo.

 

45

Dove molti nodi vengono al pettine in spiaggia

 

1

 

Il reverendo Gardener ansimava nella sua volata demenziale verso Jack, lasciando nell'aria una scia di sangue che gli sgorgava dalla faccia mutilata. Era al centro stesso di una follia devastata. Sotto la fulgida luce del sole, per la prima volta dopo numerosi decenni, Point Venuti offriva lo spettacolo desolato di cumuli di macerie al posto di edifici, tubature contorte e spezzate, marciapiedi devastati in blocchi accatastati come libri maldestramente sistemati in uno scaffale. Fra di essi erano gettati libri veri e propri con le copertine strappate sparse fra le crepe che si erano aperte nel terreno. Alle spalle di Jack l'Agincourt Hotel mandava un suono spettrale simile a un lamento; poi Jack udì mille assi che crollavano l'una sull'altra, muri che si abbattevano in una pioggia di cannicchio lacerato e polvere di intonaco. Con la coda dell'occhio registrò Morgan Sloat rimpicciolito dalla distanza, che scendeva per la spiaggia e con una fitta di angoscia si rese conto che il suo avversario stava andando da Svelto Parker... o dove giaceva il cadavere di Svelto.

«Ha un coltello, Jack», gli sussurrò Richard.

Dalla mano semiamputata Gardener si schizzava sangue sulla camicia di seta un tempo candida e immacolata. «Cattivo!» strillava, ma la sua voce era ancora soffocata dai tonfi incessanti della risacca oceanica e dai rombi e dagli scrosci intermittenti degli ultimi palpiti dello sconquasso generale.

«Che cosa facciamo?» chiese Richard.

«Che cosa ne so», rispose Jack. Risposta più sincera di così non avrebbe potuto dare. Non aveva idea di come sconfiggere questo pazzo. Eppure lo avrebbe sconfitto. Ne era certo.

«Avresti dovuto uccidere tutti e due i fratelli Ellis», disse a se stesso.

Sempre urlando, Gardener giungeva di corsa dalla spiaggia. Era ancora a notevole distanza, a metà fra la fine della palizzata e la facciata dell'albergo. Una maschera rossa gli copriva mezza faccia. Dalla mano sinistra ormai inservibile gli colava un rivolo di sangue. La distanza fra il pazzo e i ragazzi si dimezzò in un secondo. Morgan Sloat era già arrivato alle rocce? Jack si sentiva fortemente spinto a procedere, come se fosse obbligato dal Talismano.

«Cattivo! È assiomatico! Cattivo!» starnazzava Gardener.

«Flippa!» gridò Richard.

E Jack slittò, come già gli era successo all'albergo nero.

Allora si trovò davanti a Osmond nell'accecante luce dei Territori. Molta della sua fiducia lo abbandonò. Tutto era lo stesso, ma tutto era diverso. Senza guardare, sapeva che alle spalle c'era qualcosa di assai peggio dell'Agincourt: non aveva mai visto dall'esterno il castello in cui si trasformava l'albergo nei Territori, eppure si sentì improvvisamente sicuro che dai grandi battenti dell'ingresso una lingua si andava srotolando verso di lui... e Osmond avrebbe ricacciato lui e Richard verso di essa.

Osmond aveva una pezza all'occhio destro e portava un guanto macchiato sulla mano sinistra. Le sottili appendici della sua frusta gli scivolarono dalla spalla. «Oh, sì», disse, per metà sibilando e per metà bisbigliando. «Questo ragazzo. Il ragazzo del capitano Farren.» Jack si abbassò il Talismano all'altezza del ventre cercando di proteggerlo. Il groviglio all'estremità della frusta frusciò sul terreno, sensibile a ogni minimo movimento di Osmond quanto un cavallo da corsa al suo fantino. «Che profitto ha da trarre un ragazzo conquistando una palla di vetro se perde il mondo?» Poi la frusta si sollevò quasi autonomamente dal terreno. «Niente! Zero!» L'aria fu invasa all'improvviso dall'odore autentico di Osmond, quello di marcio e sudiciume e decomposizione; la sua faccia magra e forsennata s'increspò, come se dietro di essa fosse brillata una folgore. Sorrise con un'espressione vacua e levò la frusta sopra la spalla.

«Pene di capra», disse, quasi amorevolmente. Le appendici armate dello scudiscio scesero cantando verso Jack che indietreggiò, ma non abbastanza, momentaneamente confuso dal panico.

Richard lo afferrò per una spalla e insieme flipparono di nuovo e l'orribile suono della frusta, simile a una risata, fu istantaneamente cancellato.

Coltello! sentì gridare. Era la voce di Svelto.

Contrastando l'istinto, Jack avanzò verso il punto in cui era calata la frusta un attimo prima invece di indietreggiare come gli sarebbe stato naturale. La mano di Richard gli si staccò dalla spalla e la voce di Svelto morì in un lamento. Jack si tenne stretto il Talismano scintillante contro il ventre con la mano sinistra e allungò la destra. Le sue dita si chiusero magicamente intorno a un polso ossuto.

Gardener ridacchiò.

«Jack!» urlò dietro di lui Richard.

Era di nuovo in questo mondo, nella luce tonificante di un sole pulito, con il coltello di Gardener puntato contro e bloccato nell'aria. La faccia devastata di Gardener era a pochi centimetri dalla sua. Entrambi furono avvolti da una zaffata di olezzo nauseante, odore di immondizie e di carcasse di animali morti da tempo sotto le ruote di qualche veicolo. «Zero», riprese Gardener. «Ripeti con me hallelujah.» Spingeva verso il basso l'elegante, micidiale coltello, ma Jack riusciva ancora a trattenerlo.

«Jack!» gridò ancora Richard.

L'occhio di Gardener brillava. Continuava a spingere la mano verso il basso.

Sai che cosa ha fatto Gardener? domandò la voce di Svelto. Ancora non lo sai?

Jack guardò dritto negli occhi ammattiti di Gardener. Sì.

Richard si avventò su di lui e lo scalciò alla caviglia, poi gli menò un debole pugno alla tempia.

«Tu hai ucciso mio padre», affermò Jack.

L'occhio di Gardener mandò altre scintille. «Tu hai ucciso il mio ragazzo, cattivissimo bastardo!»

«Morgan Sloat ti ordinò di uccidere mio padre e tu l'hai fatto.»

Gardener calò il coltello di almeno cinque centimetri. Un grumo giallastro e una bolla di sangue sgorgarono dal buco dal quale gli era stato scalzato l'occhio destro.

Jack gridò di orrore, di collera, e sfogò contemporaneamente tutti quei sentimenti di abbandono e disperazione che l'avevano perseguitato dalla morte di suo padre. Si accorse subito dopo di aver respinto la mano armata di Gardener. Un altro urlo. La mano sinistra di Gardener, quella priva di dita, lo batteva sul braccio sinistro. Mentre cominciava a torcere il polso di Gardener, Jack sentì il moncherino che gli si insinuava fra il torace e il braccio. Richard rinnovò i suoi deboli attacchi, ma Gardener stava arrivando molto vicino al Talismano con la sua mezza mano.

«Hallelujah», gli sibilò in faccia.

Jack riuscì a torcerlo del tutto, costringendolo ad avvitarsi su se stesso sotto la spinta di una forza che non sapeva nemmeno di avere. Fece pressione sulla mano armata di Gardener. La mano senza dita gli scivolò via da sotto l'ascella. Jack strizzò il polso della mano armata. I tendini cedettero alla sua morsa. Il coltello cadde, ora innocuo quanto quel moncherino che continuava a battergli sulle costole. Con una spallata spedì Gardener a barcollare all'indietro.

Poi gli piazzò il Talismano davanti. Richard urlò: «Che cosa stai facendo?». Ma era giusto, giusto, giusto. Jack avanzò verso Gardener, nella cui espressione di trionfo era comparsa un'ombra di dubbio. Un'altra bolla di sangue gli si andava gonfiando nell'orbita svuotata. All'improvviso si tuffò verso il coltello. Jack s'interpose e toccò la pelle di Gardener con la superficie tiepida del Talismano. Tanto Reuel, altrettanto Gardener. Balzò all'indietro.

Gardener ululò come un animale sperduto e ferito. Là dove il Talismano lo aveva sfiorato, la pelle si era annerita, quindi si era lentamente liquefatta volandogli dal cranio. Jack indietreggiò di un altro passo. Gardener cadde in ginocchio. Tutta la pelle della testa gli si trasformava in cera liquida. Nel giro di un secondo, dal colletto della camicia gli sporgeva solo un cranio calcinato.

E tu sei sistemato, pensò Jack. Buon pro ti faccia!

 

2

 

«Va bene», proclamò Jack, ora più fiducioso che mai. «Andiamo a prenderlo, Richie, andiamo...»

Si girò a guardare l'amico e vide che era sul punto di crollare di nuovo. Vacillava, con le palpebre abbassate per metà sugli occhi, come se fosse intontito da una droga.

«A ripensarci, forse è meglio che questa volta tu te ne stia qui buono buono», gli suggerì Jack.

Richard scrollò la testa. «Vengo anch'io, Jack. Seabrook Island. Fino in fondo.»

«Dovrò ucciderlo», gli fece notare Jack. «Se ci riesco.»

Richard continuava a scuotere la testa, caparbio e insistente. «Non mio padre. Te l'ho detto. Mio padre è morto. Se mi lasci qui, verrò strisciando, anche attraverso quel vomito che si è lasciato dietro quel tizio, se sarò costretto.»

Jack guardò in direzione delle rocce. Non vedeva Morgan, ma non metteva in dubbio che fosse là dietro. Se Svelto era ancora vivo, probabilmente Morgan stava prendendo le necessarie misure per rimediare alla situazione.

Jack cercò di sorridere, ma non ci riuscì. «Pensa a tutti i germi che potresti tirar su.» Esitò ancora per un istante, poi allungò il Talismano verso Richard. «Ti trasporterò, ma tu dovrai portare questo. E non lasciarlo cadere, Richard. Se lo lasci cadere...»

Che cosa aveva detto Svelto?

«Se lo lasci cadere, tutto sarà perduto.»

«Non lo lascerò cadere.»

Jack abbandonò il Talismano nelle mani di Richard e di nuovo Richard sembrò migliorare al contatto... ma non molto. Era terribilmente pallido, illuminato dal Talismano, sembrava un bimbo morto nel flash di un fotografo della polizia.

È l'albergo. Lo sta avvelenando.

Ma non era l'albergo. Non del tutto. Era Morgan. Morgan lo stava avvelenando.

Jack si girò scoprendo che detestava distogliere gli occhi dal Talismano anche solo per un momento. Chinò la schiena e unì le mani a staffa.

Richard montò. Teneva il Talismano con una mano e con l'altra si reggeva al collo di Jack. Jack lo afferrò per le cosce.

È leggero come una piuma. Anche lui ha il suo cancro. Da quando è nato. Morgan Sloat è radioattivo di malvagità e Richard muore ucciso dalle radiazioni.

Scese trotterellando verso le rocce dietro le quali giaceva Svelto, cosciente della luce e del calore del Talismano sopra la sua testa.

 

3

 

Arrivò sul lato sinistro del gruppo di rocce con Richard sulla schiena, ancora caricato da quella folle fiducia... e che fosse davvero folle gli fu rivelato con cruda subitaneità. Una gamba grassoccia vestita da un pantalone di lana leggera color marrone (sotto il quale Jack scorse per una frazione di secondo una calza in tessuto sintetico perfettamente intonata) si proiettò fuori all'improvviso come le sbarre di un ingresso a pedaggio.

Merda! gridò la mente di Jack. Ti stava aspettando! Razza di imbecille!

Richard cacciò un urlo. Jack cercò di scavalcare l'ostacolo e non ci riuscì.

Morgan lo sgambettò con la banale facilità con cui un bullo gioca un tiro mancino a un compagno di scuola più piccolo. Dopo Smokey Updike e Osmond e Gardener ed Elroy e qualcosa che sembrava un incrocio fra un alligatore e un carro armato Sherman, soccombeva infine a opera dell'obeso, iperteso Morgan Sloat accovacciato dietro una roccia, rimasto in agguato ad aspettare che un ragazzotto pieno di sé di nome Jack Sawyer gli venisse a tiro.

Richard strillò nel momento in cui Jack incespicava. Le loro ombre fuse insieme si allungarono sulla sinistra e per un momento disegnarono la figura di un idolo indù con un ventaglio di braccia. Jack avvertì il peso psichico del Talismano spostarsi da una parte e poi dall'altra.

«Stacci attento, Richard!» gridò Jack.

Richard cadde oltre la testa di Jack. I tendini gli si tesero nel collo come corde di un pianoforte, gli occhi gli si sgranarono in un'espressione smarrita. Cadde tenendo il Talismano in alto. Gli angoli della sua bocca si ripiegarono verso il basso in un ringhio disperato. Stramazzò di faccia come il muso di un missile difettoso. La sabbia intorno al punto in cui Svelto si era accasciato non era precisamente sabbia, bensì un ghiaione ruvido e disseminato di pietruzze taglienti. Richard cadde su una pietra sputata fuori dal terremoto. Si udì un tonfo sommesso. Per un momento Richard sembrò uno struzzo con la testa sepolta nella sabbia. Il fondo dei suoi pantaloni scodinzolò nell'aria. In altre circostanze dalle quali per esempio mancasse quell'inquietante tonfo di poco fa, la sua posa sarebbe stata comica, meritevole di una foto: "Il molto razionale Richard in un momento di riflessione alla spiaggia".

Ma non era affatto divertente. Le mani di Richard si aprirono lentamente... e il Talismano rotolò per un metro circa sul lieve pendio della spiaggia, quindi si fermò a riflettere cielo e nubi ma non sulla superficie, bensì nella delicata luminosità del suo interno.

«Richard!» gridò di nuovo Jack.

In quel momento non pensava a Morgan che era alle sue spalle. Era stato abbandonato dal suo senso di fiducia: gli era sfuggito nell'attimo in cui quella gamba nel leggero pantalone marrone gli si era parata davanti come una sbarra. Era stato giocato come uno scolaretto e Richard... e Richard era...

«Rich...»

Richard rotolò su se stesso e Jack vide che aveva la faccia imbrattata di sangue. Un lembo di pelle gli si era staccato dallo scalpo e ora gli pendeva in forma triangolare sopra un occhio come una vela stracciata. Dal lembo sporgeva un ciuffo di capelli che gli accarezzava la guancia... e dal punto in cui il cuoio capelluto gli si era staccato brillava, ora denudato, un tratto di cranio.

«Si è rotto?» domandò Richard. Poi la sua voce si spezzò trasformandosi in un grido. «Jack, si è rotto quando sono caduto?»

«No, Richie, è ancora...»

Allora gli occhi insanguinati di Richard si dilatarono, fissandosi su qualcosa alle spalle di Jack. «Jack! Jack! atten...!»

Qualcosa che somigliava a un mattone di cuoio (una delle scarpe calzate da Morgan Sloat) lo pestò duramente ai testicoli. La mira era stata perfetta. Jack s'accartocciò su se stesso cadendo in avanti, ottenebrato all'improvviso dal dolore più spaventoso che avesse mai provato, un patimento fisico che non avrebbe mai immaginato. Non poteva nemmeno gridare.

«Il Talismano è intatto», osservò Morgan Sloat, «ma tu non mi sembri ben messo, Jacky. Niente affatto.»

E ora a venire lentamente verso Jack, lentamente per assaporare meglio il momento, c'era un uomo al quale Jack non era mai stato propriamente presentato. Era stato un volto bianco dietro il finestrino di una grande carrozza nera per lo spazio di pochi istanti, un volto con occhi cupi capaci di avvertire la sua presenza senza vederlo. Era stato una figura mutevole e vibrante che si era materializzata violentemente nella realtà del campo nel quale lui e Lupo discorrevano di meraviglie come figliate di Lupacchiotti e lune piene; era stato un'ombra negli occhi di Anders.

Ma questa è la prima volta che vedo davvero Morgan di Orris, rifletté Jack. Eppure lui era ancora Jack: Jack in un paio di brache di cotone sporche e scolorite, di quelle che ci si aspetterebbe di trovare addosso a un coolie asiatico, e un paio di sandali con cinturini di cuoio grezzo; e tuttavia non era Giasone, era proprio Jack. Con l'inguine trasformato in un blocco di ghiaccio incandescente.

A dieci metri da lui c'era il Talismano che diffondeva il suo fulgore su una spiaggia di sabbia nera. Richard non c'era ma questo particolare non fu registrato dalla mente cosciente di Jack se non più tardi.

Morgan indossava una mantella color blu scuro, tenuta al collo da un fermaglio d'argento lavorato. I calzoni che indossava erano della stessa lana leggera di quelli di Sloat, solo che questi s'infilavano in un paio di stivali neri.

Questo Morgan zoppicava lievemente e il suo piede sinistro, quello deforme, lasciava nella sabbia una fila di impronte di taglio. Quando si mosse il fermaglio d'argento della sua cappa si abbassò e fu allora che Jack si accorse che non aveva niente a che fare con l'indumento, trattenuto invece da una semplice cordicella nera. L'oggetto d'argento era invece un pendaglio. Dapprincipio pensò che fosse una mazza da golf in miniatura, una sorta di ninnolo che una donna potrebbe staccare da un braccialetto per appenderselo al collo, così, per allegria. Ma quando Sloat fu più vicino, vide che era troppo sottile e che invece di terminare con un rigonfiamento a forma di mazza, era appuntito.

Somigliava piuttosto a un parafulmine.

«No, non ti vedo affatto bene, ragazzo», commentò Morgan di Orris. Si fermò incombendo su di lui. Jack giaceva a terra mugolante, le ginocchia flesse, le mani premute sull'inguine. Morgan si chinò, piazzandosi le mani poco sopra le ginocchia, e studiò Jack come si potrebbe studiare un animale appena investito con l'automobile. Un animale assai poco interessante come uno scoiattolo. «Nient'affatto.»

Morgan si chinò ancora di più.

«Sei stato un bel problema per me», continuò. «Mi hai causato tante grane. Ma alla fine...»

«Mi sento morire», mormorò Jack.

«Non ancora. Oh, so che ci si sente così, ma puoi credermi, ancora non stai morendo. Fra cinque minuti saprai veramente che cosa si prova quando si muore.»

«No... davvero... sono rotto... dentro», gemette Jack. «Chinati... voglio dire... devo chiedere... prego...»

Gli occhi scuri di Morgan brillarono nella sua faccia pallida. Forse per il fatto che Jack lo supplicava. Si abbassò fino quasi a sfiorarlo. Jack aveva ripiegato le gambe istintivamente, a causa del dolore. Ora le fece partire verso l'alto. Fu come se una lama arrugginita lo avesse trafitto ai genitali risalendogli fino allo stomaco, ma il rumore dei suoi sandali che colpivano il volto di Morgan spaccandogli le labbra e fracassandogli il naso lo ricompensò per quella sofferenza.

Morgan di Orris cadde all'indietro ruggendo per il dolore e la sorpresa in uno svolazzo di mantella, come le ali di un grande pipistrello.

Jack si alzò. Per un momento scorse il castello nero, assai più vasto dell'Agincourt; sembrava occupare ettari di terreno... ma subito dopo si gettò in un gesto scoordinato al di là del corpo incosciente (o morto!) di Parkus. Si tuffò verso il Talismano che brillava pacificamente nella sabbia e mentre si lanciava flippò nei Territori americani.

«Bastardo!» tuonò Morgan Sloat. «Piccolo schifoso, lurido bastardo, la mia faccia, la mia faccia, mi hai rotto la faccia!»

Si udì un crepitio e si diffuse odore di ozono. Un ramo di luce azzurrognola saettò alla destra di Jack fondendo sabbia come vetro.

E Jack riconquistò il Talismano! Il dolore che gli pulsava all'inguine e gli accecava gli occhi, gli diminuì all'istante. Si girò verso Morgan tenendo fra le mani la sfera trasparente.

Morgan Sloat sanguinava dal labbro e si teneva una mano contro la guancia. Jack si augurò di avergli fatto saltare almeno qualche dente. Nell'altra mano, Sloat teneva quella spilla dalla quale era appena partita la folgore che aveva colpito la sabbia dietro a Jack.

Jack si spostò lateralmente, le braccia tese davanti a sé, e dentro al Talismano la luce cambiava di colore come in una macchina per fabbricare arcobaleni. Era come se il Talismano sapesse che Sloat era vicino, perché il reticolo che ne ornava la superficie cominciò a mandare un mormorio subtonale che Jack avvertì sotto forma di formicolio alle dita. Un fascio di luce tersa scaturì dal Talismano e Sloat si ritrasse precipitosamente puntando la sua chiave all'altezza di Jack.

Si asciugò una macchia di sangue dal labbro inferiore. «Mi hai fatto male, piccolo bastardo», latrò. «Non credere che quella palla di vetro ti possa aiutare, adesso. Il suo futuro è poco più corto del tuo.»

«E allora perché ne hai paura?» lo apostrofò il ragazzo, girando di nuovo il Talismano verso di lui.

Sloat si spostò come se temesse che anche il Talismano lanciasse saette.

Lui non sa che cosa può fare, capì a un tratto Jack. In realtà non sa niente dei suoi poteri, sa solo che lo vuole.

«Mollalo subito», gli intimò Sloat. «Lascialo giù, piccolo impostore. O ti scoperchio la testa. Ubbidisci!»

«Tu hai paura», disse Jack. «Adesso che il Talismano è qui davanti a te, hai paura di venirlo a prendere.»

«Non ho bisogno di venirlo a prendere», ritorse Sloat. «Dannato impostore. Lascialo andare. Vediamo come lo rompi tu, Jacky.»

«Vieni a prenderlo, Sloat», lo sfidò Jack, improvvisamente attraversato da un'esplosione di collera. Jacky. Detestava udire nella bocca di Sloat il vezzeggiativo con cui lo chiamava sua madre. «Io non sono l'albergo nero, Sloat. Sono solo un ragazzo. Sei capace di portar via una palla di vetro a un ragazzo?» Perché gli era chiaro che finché avesse avuto il Talismano fra le mani la situazione di stallo si sarebbe protratta. Una scintilla azzurra, vibrante come una di quelle dei "demoni" di Anders, scaturì e morì al centro del Talismano. Ne seguì immediatamente un'altra. Jack avvertiva ancora quel mormorio potente che usciva dal cuore della sfera trasparente. Era stato destinato a prendere il Talismano. Il Talismano aveva sempre saputo della sua esistenza fin da quando era nato, pensava ora Jack, e fin da allora aveva aspettato che lui venisse a liberarlo. Aveva bisogno di Jack Sawyer e di nessun altro. «Prova a prendermelo», lo esortò di nuovo.

Sloat gli puntò contro la chiave ringhiando. Il sangue gli colava dal mento. Per un attimo Sloat sembrò disorientato, frustrato e furioso come un toro chiuso in un recinto e Jack gli sorrise. Poi Jack lanciò un'occhiata a Richard ancora riverso nella sabbia e il sorriso gli scomparve dalle labbra. La faccia di Richard era letteralmente ricoperta di sangue e di grumi di capelli.

«Bast...» cominciò, ma aveva commesso un errore distogliendo gli occhi. Una lama di luce azzurra e gialla vergò la spiaggia accanto a lui.

Si girò verso Sloat che in quel momento gli stava spedendo un'altra folgore ai piedi. Jack balzò all'indietro come ballando, e il raggio distruttivo fuse la sabbia ai suoi piedi in un liquido denso e giallo che quasi immediatamente si raffreddò in una lunga sbarra di vetro.

«Tuo figlio sta per morire», lo avvertì.

«Tua madre sta per morire», ribatté Sloat. «Lascia andare quel coso dannato prima che ti faccia saltar via la testa. Ubbidisci immediatamente.»

«Perché non vai a farti fottere?»

Morgan Sloat spalancò la bocca e strillò mostrando denti ottusi e macchiati di sangue. «Fotterò il tuo cadavere!» La chiave appuntita tremò rivolta alla testa di Jack. Gli occhi di Sloat scintillarono e la sua mano ruotò di scatto per puntare la chiave verso il cielo. Una lunga matassa incandescente eruppe dal pugno di Sloat, dilatandosi durante l'ascesa. Il cielo si oscurò. Il Talismano e il volto di Morgan Sloat brillarono nel buio improvviso, ma la faccia di Sloat era luminosa perché colta dal riverbero del Talismano. Jack sentì che quel bagliore violento stava illuminando anche lui. E nel momento in cui rivolse il Talismano nuovamente verso Sloat, in un tentativo alla cieca, forse nella speranza di indurlo a lasciar cadere la chiave, o per farlo infuriare, fargli toccare con mano che era senza scampo, Jack si rese conto che Morgan Sloat aveva in serbo per lui ancora qualche sorpresa. Grossi fiocchi di neve scesero dal cielo rabbuiato. Sloat scomparve dietro alla densa cortina della neve. Jack udì la sua liquida risata.

 

4

 

Si alzò dal suo letto di malattia e andò alla finestra. Guardò la spiaggia defunta illuminata a stento dall'unico lampione sul marciapiede. A un tratto un gabbiano si posò sul davanzale. Dal becco gli pendeva un pezzo di grasso animale e in quel momento pensò a Sloat. Quel gabbiano somigliava a Sloat.

Dapprima Lily rabbrividì di ribrezzo, ma subito dopo si calmò sentendosi invadere da una ridicola collera. Un gabbiano non poteva assomigliare a Sloat e un gabbiano non poteva invadere il suo territorio... non era giusto. Batté le nocche sul vetro freddo. Il volatile agitò brevemente le ali, ma non si alzò in volo. Fu allora che Lily ricevette dal cervello del gabbiano un gelido pensiero, chiaro come una trasmissione radio.

Jack sta morendo, Lily... Jack sta morendo...

L'uccello allungò il collo e picchiò il vetro come il corvo di Poe.

Muoreeeeeee...

«NO!» gli urlò di rimando Lily. «CHE TU SIA MALEDETTO, SLOAT!» E questa volta non si limitò a battere le nocche sul vetro, ma ci passò attraverso il pugno chiuso. Il gabbiano aprì le ali sbatacchiandole, starnazzò, per poco non cadde. Dalla finestra rotta s'infilò dentro aria gelida.

Sangue colava dalla mano di Lily. No, non stava solo colando, sgorgava a fiotti. Si era procurata due tagli profondi. Si tolse schegge di vetro dal palmo della mano che poi si passò sul corpetto della camicia da notte.

«QUESTA NON TE L'ASPETTAVI, VERO, TESTA DI CAZZO!» urlò all'uccello che stava sorvolando freneticamente i giardini. Lily scoppiò a piangere... «Adesso lasciami in pace, lasciami in pace, LASCIA IN PACE MIO FIGLIO!»

Era inondata di sangue. L'aria fredda soffiava dalla finestra fracassata, allora vide i primi fiocchi di neve scendere vorticosamente dal cielo, illuminati dal lampione.

 

5

 

«Attento, Jacky.»

Voce sommessa. Da sinistra.

Jack ruotò da quella parte tenendo il Talismano alto come una torcia elettrica. Ne fuoriuscì un raggio pieno di neve.

Nient'altro. Tenebre... neve... il rumore dell'oceano.

«Sei dalla parte sbagliata, Jacky.»

Si girò allora verso destra barcollando sul fondo reso sdrucciolevole dalla neve ghiacciata. Più vicina. La voce era stata più vicina.

«Vieni a prenderlo, Sloat.»

«Non hai alcuna speranza, Jack. Posso prenderlo quando mi pare.» Dietro di lui... e ancora più vicina.

Ma quando alzò il Talismano fulgente, non riuscì a vedere Sloat. Il mulinello di neve gli soffiò in faccia. Inalò e si mise a tossire.

Sloat ridacchiò direttamente davanti a lui.

Jack si ritrasse spaventato e per poco non inciampò in Svelto.

«Hu hu, Jacky!»

Una mano sbucò dalla tenebra alla sua sinistra, gli afferrò un orecchio e glielo tirò. Jack si girò in quella direzione, il cuore che gli batteva pazzamente in gola, gli occhi strabuzzati. Scivolò e cadde su un ginocchio.

Richard mandò un brontolio gemebondo da poca distanza.

Un tuono vibrò come una cannonata nell'oscurità provocata dalla magia di Sloat.

«Gettamelo!» lo sollecitò Sloat. Uscì danzando dalla bufera. Faceva schioccare le dita della mano destra e agitava la minuscola chiave nella sinistra. C'era una bizzarra sincope concitata nelle sue movenze. A Jack ricordò qualche direttore d'orchestra latino di altri tempi, Xavier Cugat, forse. «Jack, perché non me lo getti? Sei al baraccone di tiro a segno, Jack! Piccione di argilla! Il vecchio zio Morgan! Che cosa ne dici, Jack? Perché non provi? Tira la palla e vinci la bambolina!»

E Jack si accorse di aver già spostato la mano destra all'indietro con l'intenzione di tirargli davvero il Talismano.

Sta cercando di ammaliarti, di farti prendere dal panico, di fartelo mollare...

Sloat scomparve di nuovo nell'oscurità. La neve ruotava in mulinelli.

Jack si guardò nervosamente attorno, ma Sloat era diventato invisibile. Forse è decollato, forse...

«Che cosa c'è, Jacky?»

No, era ancora qui. Da qualche parte verso sinistra.

«Mi è venuto da ridere quando il tuo paparino è morto, Jacky. Gli ho riso in faccia. Quando il suo motorino si fermò, ho sentito...»

Ci fu una distorsione nella sua voce che s'attuti per un momento, poi tornò. A destra questa volta. Jack si girò da quella parte. Non capiva che cosa stesse succedendo, i nervi stavano per cedergli.

«...il mio cuore volare come un uccellino. Così, Jacky.»

Un sasso schizzò fuori dal buio diretto alla sfera di vetro. Jack scartò. Intravide l'ombra di Sloat che scomparve subito di nuovo.

Una pausa... poi Sloat tornò con un nuovo disco.

«Ho scopato tua madre, Jacky», lo canzonò la voce da tergo. Una mano grassa e calda gli diede uno strattone al fondo dei pantaloni. Jack si voltò e questa volta rischiò di inciampare in Richard. Dagli occhi cominciarono a sgorgargli lacrime bollenti, dolorose, angosciate. Odiava quelle lacrime, ma nulla al mondo avrebbe potuto contenerle. Il vento urlava come un drago in una galleria aerodinamica. La magia è dentro di te, aveva detto Svelto, ma dov'era andata a finire? Dove, oh dove?

«Non parlare di mia madre!»

«L'ho scopata parecchio», insisté Sloat con maligna allegria.

Di nuovo a destra. Una forma grassa che ballava nel buio.

«L'ho scopata dietro invito, Jacky!»

Dietro! Vicino!

Jack ruotò su se stesso. Alzò il Talismano. Ne uscì una lama di luce bianca. Sloat si ritrasse schivandola, ma non prima che Jack avesse visto una smorfia di dolore e d'ira. La luce aveva toccato Sloat, gli aveva fatto male.

Non dar retta a quel che dice. Sono tutte menzogne e lo sai benissimo. Ma come fa? Dov'è il trucco? Sembra Houdini. No, anzi, sembra un indiano che si avvicina nella notte alla carovana. Come fa?

«Mi hai abbrustolito un tantino i baffi, questa volta, Jack», lo canzonò Sloat con una ghignatina compiaciuta. Sembrava un po' sfiatato, ma non abbastanza. Tutt'altro che abbastanza. Jack ansimava come un cane nella canicola estiva, mentre perquisiva freneticamente l'oscurità tempestosa con lo sguardo alla ricerca di Sloat. «Ma non ti serberò rancore per questo, Jacky. Di che cosa si parlava? Ah, già. Di tua madre...»

Un po' distorta... un po' indebolita... e poi un sasso sibilò alla sua destra e lo colpì alla tempia. Si girò di scatto, ma Sloat era scomparso di nuovo nella neve.

«Mi ha inchiodato fra quelle sue gambe lunghe, finché mi ha fatto ululare, chiedendo pietà!» dichiarò Sloat da dietro le spalle di Jack, spostato sulla destra.

Non lasciarti distrarre, non lasciarti stregare dalle sue parole...

Ma non sapeva resistere. Era di sua madre che stava parlando questo lurido individuo. Sua madre.

«Piantala! Zitto!»

Adesso Sloat era davanti a lui, così vicino che Jack avrebbe dovuto vederlo nonostante il turbine di neve, eppure di lui scorgeva appena un accenno, come un volto visto di notte sotto il pelo dell'acqua. Un altro sasso sfrecciò dalla tenebra e colpì Jack alla nuca. Vacillò e di nuovo rischiò per un soffio di inciampare nel corpo di Richard che andava rapidamente scomparendo sotto un manto di neve.

Vide delle stelle... e capì che cosa stava accadendo.

Sloat flippa! Va di là, si sposta, torna di qua!

Jack si girava lentamente su se stesso, instabile sulle gambe, come un uomo assediato da cento nemici. Una lingua di fuoco sbucò dall'oscurità in un raggio bluastro. Jack spostò immediatamente il Talismano sperando di far rimbalzare il raggio su Sloat. Troppo tardi. Si era già spento.

Ma allora perché non lo vedo di là? Nei Territori?

La risposta gli giunse in un lampo abbagliante... e come per reazione il Talismano lanciò un meraviglioso ventaglio di luce bianca che bucò il bagliore come il fanale di una locomotiva.

Non lo vedo dall'altra parte perché io non sono dall'altra parte! Giasone non c'è più. Sono rimasto solo! Sloat flippa su una spiaggia dove non ci sono che Morgan di Orris e un uomo di nome Parkus che sta morendo o è già morto. Non c'è nemmeno Richard di là, perché il figlio di Morgan di Orris, Rushton, è morto molto tempo fa e anche Richard ha un'unica natura! Prima, quando sono flippato anch'io, il Talismano c'era... ma Richard no! Morgan continua a passare da una parte all'altra cercando di disorientarmi...

«Hu hu! Jacky! Jacky!»

A sinistra.

«Di qui!»

A destra.

Ma Jack aveva smesso di cercarlo. Fissava il Talismano e aspettava la battuta d'attacco. La più importante battuta d'attacco di tutta la sua vita.

Da dietro. Questa volta sarebbe arrivato da dietro.

Il Talismano lampeggiò, fanale brillante nella neve.

Jack ruotò su se stesso e nel movimento flippò nei Territori, sotto un sole fulgente, e lì c'era Morgan di Orris, grande e grosso e bruttissimo. Per un attimo non si rese conto che Jack aveva intuito il trucco; zoppicando, si stava spostando velocemente nel punto in cui si sarebbe trovato alle spalle di Jack quando fosse riapparso nei Territori americani. Sulle sue labbra c'era un perfido sogghigno infantile. La mantella gli si gonfiava dietro le spalle. Avanzava trascinandosi dietro lo stivale sinistro che aveva lasciato tutt'attorno numerosi solchi nella sabbia. Morgan aveva continuato a correre in circolo attorno a lui, spronandolo con le sue oscene menzogne sul conto di sua madre, tirandogli i sassi, passando da un mondo all'altro.

Jack gridò: «Ti vedo!» con quanto fiato aveva nei polmoni.

Morgan trasalì, sobbalzando violentemente. Si voltò di scatto verso di lui brandendo la sua bacchetta d'argento.

«Ti vedo!» ripeté Jack. «Facciamo un altro giro, Sloat?»

Morgan di Orris gli puntò contro la sua verga e in un attimo l'espressione del suo viso passò dallo sbigottimento all'astuzia dell'uomo furbo che ha visto presentarsi la sua grande occasione. I suoi occhi si strinsero. Nel momento in cui Morgan di Orris prendeva la mira fissandolo lungo la sua bacchetta magica, per poco Jack non flippò nei Territori americani. Ne sarebbe rimasto ucciso. Ma un istante prima che la prudenza o il panico lo spingesse a gettarsi in pratica sotto le ruote di un camion in arrivo, la stessa intuizione che gli aveva segnalato che Morgan non faceva che andare e venire da un mondo all'altro gli salvò la vita: Jack aveva capito la tattica del suo avversario. Restò dov'era, di nuovo attendendo quella battuta d'attacco quasi mistica. Per una frazione di secondo trattenne il fiato. Se Morgan fosse stato solo un briciolo meno orgoglioso della sua tortuosità, sarebbe riuscito ad assassinare Jack Sawyer, come tanto ardentemente desiderava.

Invece, proprio come Jack aveva previsto, l'immagine di Morgan scomparve improvvisamente dai Territori. Jack riprese a respirare. Il corpo di Svelto (il corpo di Parkus, si accorse Jack) giaceva immobile a breve distanza e giunse la battuta d'attacco. Jack liberò un sospiro e flippò.

Una nuova striscia di vetro divideva la sabbia sulla spiaggia di Point Venuti, riflettendo l'improvviso raggio di luce bianca emanato dal Talismano.

«L'hai mancato, vero?» bisbigliò Morgan Sloat nell'oscurità.

Neve fitta cadeva su Jack, un vento gelido gli paralizzava le membra, la gola, la fronte. A pochi metri da lui si librava la faccia di Sloat, con la fronte corrugata nella sua tipica espressione, la bocca insanguinata aperta. Tendeva la chiave verso Jack nella bufera e alla manica della sua giacca s'attaccava la neve, accumulandosi. Jack vide un rivolo nero di sangue che gli colava dalla narice sinistra del naso incongruamente piccolo. Gli occhi di Sloat, iniettati di sangue per il dolore che provava, scintillarono nell'aria cupa.

 

6

 

Richard Sloat aprì confusamente gli occhi. Era gelido in ogni parte del corpo. Dapprima, senza traccia di emozione, pensò di esser morto. Era caduto da qualche parte, probabilmente giù per gli scalini insidiosi della tribuna della Thayer School.

Adesso era gelido e morto e non poteva più capitargli niente. Sperimentò un momento di vertiginoso sollievo.

La testa gli offrì una nuova fitta di dolore e la mano fredda gli trasmise la sensazione di sangue caldo. Tutto questo dimostrava che, a dispetto delle sue più insane speranze, Richard Llewellyn Sloat non era ancora morto. Era solo una creatura ferita e sofferente e gli pareva che gli fosse stata scuoiata mezza testa. Non aveva un'idea precisa di dove si trovasse. Faceva freddo. La sua vista andò a fuoco giusto il tempo di registrare che si trovava disteso per terra nella neve. Era arrivato l'inverno. Altra neve gli cadeva addosso dal cielo. Poi udì la voce di suo padre e ricordò tutto.

Si tenne la mano sulla testa ferita, ma alzò molto lentamente il mento per guardare nella direzione da cui giungeva la voce di suo padre.

Jack Sawyer aveva il Talismano. Fu questo ciò di cui prese successivamente nota la mente di Richard. Il Talismano era ancora intatto. Ritrovò parte del sollievo che aveva provato quando aveva creduto di essere morto. Anche senza occhiali, Richard vedeva che Jack era mosso da una forza indomita. Sembrava... sembrava un eroe. Ecco tutto. Dannatamente giovane, sporco e scarmigliato, sbagliato per quel ruolo praticamente da ogni punto di vista, eppure innegabilmente un eroe.

Ora Richard vide che Jack era solo Jack. Quella straordinaria sembianza come di un divo del cinema che si degna di trasformarsi in un dodicenne cencioso, era scomparsa. In questo, agli occhi di Richard, il suo eroismo diventò ancor più impressionante.

Suo padre mostrava un sorriso rapace. Ma quello non era suo padre. Suo padre era finito già da molto tempo, liquidato dall'invidia che aveva provato per Phil Sawyer, dall'avidità delle sue ambizioni.

«Possiamo andare avanti così per sempre», affermò Jack. «Io non ti darò mai il Talismano e tu non riuscirai mai a distruggerlo con quel tuo ninnolo. Rinuncia.»

Allora la punta della chiave nella mano di Morgan si girò lentamente su Richard.

«Prima faccio saltare in aria Richard», disse. «Vuoi davvero vedere il tuo amichetto abbrustolire come pancetta in padella? Eh? Davvero? E naturalmente non esiterò a garantire lo stesso trattamento anche a quella peste che ha di fianco.»

Jack e Sloat si scambiarono brevi occhiate. Suo padre non stava scherzando, capì Richard. Lo avrebbe ucciso, se Jack non avesse consegnato il Talismano. E poi avrebbe ucciso anche quel vecchio negro, Svelto.

«Non farlo», riuscì a mormorare. «Fagliela pagare, Jack. Mandalo al diavolo.»

Per poco non uscì fuori di matto quando Jack reagì strizzandogli l'occhio.

«Molla il Talismano», udì dire a suo padre. Con orrore osservò Jack che abbassava le mani e lasciava rotolare il Talismano sulla sabbia.

 

7

 

«Jack, no!»

Jack non si girò verso Richard. Non possiedi una cosa se non sei capace di rinunciarvi, gli martellava nella mente. Non possiedi una cosa se non sei in grado di rinunciarvi, che profitto può trarne un uomo? Un bel niente, meno che zero, e questo non si impara a scuola, s'impara sulla strada, s'impara da Ferd Janklow e da Lupo, e da Richard che piomba a testa in giù fra le rocce come un missile che ha fatto cilecca.

S'imparano queste cose o si muore in qualche posto del mondo dove la luce non brilla.

«Basta con questo massacro», intonò in un'oscurità piena di neve piombata all'improvviso nel cuore del pomeriggio su questa spiaggia californiana.

Avrebbe dovuto sentirsi esausto dopo quattro giorni gremiti di orribili esperienze che lo portavano ora a cedere la palla. Aveva buttato via tutto. Eppure era sicuro di aver sentito la voce di Anders che s'inginocchiava davanti a Jack/Giasone con il suo kilt dispiegato attorno alle ginocchia e la testa china. Anders che gli diceva che tutto sarebbe andato bene, che in un certo modo tutto sarebbe andato bene.

Il Talismano brillava sulla spiaggia e la neve che gli cadeva nei solchi sottili si scioglieva rotolando in goccioline e in ogni gocciolina c'era un arcobaleno e in quel momento Jack conobbe la straordinaria purezza di rinunciare a qualcosa di necessario.

«Basta con questa carneficina. Rompilo se ci riesci», disse. «Ho pena per te.»

Furono quelle ultime parole a portare Morgan Sloat alla sua rovina. Se avesse conservato un minimo di raziocinio, avrebbe fatto piovere un sasso da quella neve sovrannaturale o avrebbe fracassato il Talismano, perché era invero facile romperlo, vulnerabile com'era.

Invece gli rivolse contro la sua chiave.

E mentre lo faceva la sua mente s'affollò di ricordi amabili e detestabili di Jerry Bledsoe e della moglie di Jerry Bledsoe. Jerry Bledsoe che aveva ucciso e Nita Bledsoe che avrebbe invece dovuto essere Lily Cavanaugh... Lily, che gli aveva tirato un ceffone così forte da fargli sanguinare il naso quell'unica volta che, ubriaco fradicio, aveva cercato di toccarla.

 

Scaturì fuoco verdeazzurro dalla punta di quella chiave da quattro soldi. Fendette l'aria, colpì il Talismano, lo avvolse, lo trasformò in un sole bruciante. Tutti i colori apparvero per un istante... per un istante apparvero tutti i mondi. Poi più niente.

Il Talismano ingoiò il fuoco della chiave di Morgan.

Lo divorò.

Calarono nuovamente le tenebre. Jack si sentì cedere le ginocchia e sedette pesantemente sui polpacci inerti di Svelto Parker. Svelto mandò un mugolio sommesso e sussultò.

Trascorsero due secondi durante i quali tutto restò immobile... poi il Talismano eruttò all'improvviso fuoco vasto come un incendio. Gli occhi di Jack si spalancarono involontariamente a dispetto di un angosciato frammento di pensiero che gli gridava:

(ti accecherà! Jack!)

e la topografia alterata di Point Venuti fu illuminata come se il Dio di Tutti gli Universi si fosse chinato dal cielo per scattare una fotografia. Jack vide l'Agincourt accasciato e semidistrutto. Vide l'altopiano crollato che ora era diventato un bassopiano; vide Richard sdraiato supino; vide Svelto sdraiato bocconi con la testa girata.

Svelto stava sorridendo.

Morgan Sloat fu spinto all'indietro e avviluppato dalle fiamme del fuoco scaturito dalla sua stessa chiave, fuoco che era stato assorbito dal Talismano come i lampi di luce del mirino telescopico di Gardener erano stati precedentemente assorbiti... e restituiti mille volte più potenti.

Una voragine si aprì fra i mondi, un varco grande come il tunnel di Oatley e Jack vide Sloat precipitare in esso. Il suo elegante abito marrone bruciava, una mano scheletrica dalla quale la carne colava come sego liquefatto stringeva ancora la chiave, i suoi occhi bollivano nelle orbite, ma erano aperti... coscienti.

E mentre cadeva, Jack lo vide cambiare, vide la mantella aperta come le ali di un pipistrello passato attraverso la fiamma di una fiaccola, vide incendiarsi i suoi stivali e i suoi capelli, vide la chiave che si trasformava in un parafulmine in miniatura... vide la luce del giorno!

 

8

 

Fu come un'esplosione. Abbagliato, Jack rotolò sulla spiaggia innevata. Nelle orecchie (un udito che aveva nei recessi della mente) sentì l'urlo di agonia di Morgan Sloat che veniva risucchiato attraverso tutti i mondi del creato e scagliato verso l'oblio.

«Jack?»

Richard si era messo a sedere e si teneva la testa, dondolando.

«Jack, che cosa è successo? Devo essere caduto dalle gradinate del campo sportivo.»

Svelto si muoveva nella neve. Si alzò goffamente sulle braccia e guardò Jack. I suoi occhi erano stanchissimi... ma dal suo viso erano scomparsi i segni della malattia.

«Ottimo lavoro, Jack», si complimentò con un sorriso. «Ottimo...» Ricadde boccheggiando.

Arcobaleno, pensò Jack trasognato. Si alzò, ma cadde di nuovo. Neve gelida gli si appiccicò alla faccia e cominciò a sciogliersi come lacrime. Si spinse sulle ginocchia, si rimise in piedi. Non vedeva molto distintamente, aveva gli occhi pieni di punticini... ma scorse la vasta chiazza bruciata rimasta là dove si trovava Morgan.

«Arcobaleno!» gridò Jack Sawyer alzando le braccia al cielo, e si mise a piangere e a ridere contemporaneamente. «Arcobaleno! Arcobaleno!»

Andò a raccogliere il Talismano, ancora piangendo. Lo portò a Richard Sloat, che era stato Rushton; a Svelto Parker, che era quel che era.

Li guarì.

Arcobaleno, arcobaleno, arcobaleno!

 

46

Un altro viaggio

 

1

 

Li guarì ma non sarebbe mai stato in grado di ricordare bene come successe. Il Talismano cantava nelle sue mani spargendo intorno la sua luce fulgida e lui ebbe l'impressione quanto mai indistinta che un fuoco interiore li avvolgesse immergendoli in un caldo riverbero. Più di così non avrebbe saputo dire.

E alla fine, il fulgore glorioso del Talismano si affievolì... si affievolì... si spense.

Pensando a sua madre, Jack si lasciò sfuggire un gemito roco.

Svelto venne a passargli un braccio sulle spalle. «Tornerà, Jack Viaggiante», lo confortò. Sorrideva, ma si vedeva che era molto stanco. Svelto era guarito... ma ancora non stava bene. Questo mondo lo sta uccidendo, pensò Jack. O almeno sta uccidendo quella parte di lui che è Svelto Parker. Il Talismano lo ha guarito... ma sta ancora morendo.

«Tu hai aiutato lui», disse Svelto, «ed è giusto che gli chieda di aiutare te in cambio. Non temere. Ora vai là, Jack, vai dal tuo amico.»

Jack ubbidì. Richard dormiva nella neve che si scioglieva. L'orribile lembo di pelle sradicato era scomparso, ma adesso un tratto del cuoio capelluto risaltava nella sua capigliatura, una striscia dove nessun capello gli sarebbe mai ricresciuto.

«Prendigli la mano.»

«Perché?»

«Dobbiamo flippare.»

Jack aspettò qualche altra spiegazione da Svelto, il quale però non aggiunse altro. Annuì semplicemente come a dire: Sì, mi hai sentito bene.

D'accordo, pensò Jack. Ho avuto fiducia in lui finora...

Si chinò e prese una mano di Richard. Svelto gli prese l'altra.

Senza alcuna fatica passarono insieme dall'altra parte.

 

2

 

Era come Jack aveva intuito: l'uomo che aveva accanto sulla sabbia nera scomposta dai cento solchi che vi aveva lasciato Morgan di Orris con il piede deforme era sano e pieno di vita.

Jack fissava sbalordito e un po' a disagio questo sconosciuto che somigliava a un fratello minore di Svelto Parker.

«Svelto... cioè, signor Parkus... che cosa...»

«Voi ragazzi avete bisogno di riposare», lo interruppe Parkus. «Tu di sicuro, quest'altro giovanotto ancora di più. È arrivato vicino a morire quanto nessuno potrà mai sapere meglio di lui... e non credo che sia tipo disposto ad ammettere molte cose, nemmeno a se stesso.»

«Già», commentò Jack. «Su questo ha perfettamente ragione.»

«Riposerà meglio da questa parte», affermò Parkus mettendosi in cammino. Si allontanò dal castello trasportando Richard. Jack gli tenne dietro come meglio poteva, ma perdette gradatamente terreno. Restò presto senza fiato e le sue gambe si stancarono subito. La testa gli doleva in reazione alla battaglia finale. Era ancora traumatizzato.

«Perché... dove...» Più di così non riusciva ad ansimare. Si teneva il Talismano premuto contro il petto. Adesso era opaco.

«Solo pochi passi», lo tranquillizzò Parker. «Tu e il tuo amico non vorrete riposare dove c'era lui, spero.»

E Jack scrollò la testa in segno di diniego.

Parkus si girò a guardarsi oltre la spalla e lo contemplò con occhi tristi.

«Puzza di malvagità, laggiù», osservò. «E puzza del tuo mondo, Jack. Per me sono odori troppo simili fra loro perché abbia voglia di sopportarli.»

Si rimise in marcia reggendo Richard fra le braccia.

 

3

 

A quaranta metri da dove erano partiti si fermò. Qui la sabbia non era più nera e aveva assunto una sfumatura più chiara, non bianca, ma grigio medio. Parkus depositò dolcemente Richard. Jack gli si distese accanto. La sabbia era tiepida, confortevole, non c'era neve qui.

Parkus si sedette incrociando le gambe.

«Adesso dovete dormire», lo ammonì. «Può darsi che non vi svegliate prima di domani. Ma anche così, nessuno vi disturberà. Guarda da te.» Parkus fece un gesto largo con il braccio rivolto là dove nei Territori americani c'era stata Point Venuti. Jack vide dapprima il castello nero con un lato squarciato e ridotto in macerie come per una terribile esplosione. Adesso appariva quasi insignificante, non incuteva più alcun timore, spogliato del suo illecito tesoro. Nient'altro che cumuli di assi.

Più avanti Jack notò che il terremoto qui non era stato altrettanto violento e la distruzione non era stata altrettanto drammatica. Vide alcune fragili baracche sfondate; vide i resti di alcune carrozze che forse erano state le Cadillac dei Territori americani; qua e là vedeva un cadavere irsuto.

«Coloro che si trovavano qui e sono sopravvissuti, sono ormai lontani», spiegò Parkus. «Sanno che cosa è successo, sanno che Orris è morto e non ti daranno più fastidi. Il male che si trovava qui è scomparso. Lo sai, questo? Lo senti?»

«Sì», mormorò Jack. «Ma... signor Parkus... non vorrà... non...»

«Andare? Sì. Molto presto. Tu e il tuo amico dovete farvi una bella dormita, ma prima bisogna che tu e io scambiamo poche parole. Non ci metteremo molto, perciò vorrei che tu cercassi di rialzare la testa per qualche minuto.»

Con un certo sforzo Jack sollevò la testa e riaprì quasi del tutto gli occhi. Parkus annuì.

«Quando vi sveglierete mettetevi in cammino verso est... ma non flippate! Restate qui per un po'. Restate nei Territori. Ci sarà troppo caos dalla tua parte. Squadre di soccorso, giornalisti, Giasone sa che cos'altro ancora.»

«Perché deve andare?»

«Ho da girare un po', Jack. Qui c'è molto lavoro da fare. La notizia della morte di Morgan è già in viaggio verso l'Est. E viaggia velocemente. Sono già in grave ritardo e devo riuscire ad arrivare prima io, se mi riesce. Devo tornare agli Avamposti... e all'Est... prima che un mucchio di gente cattiva si metta in viaggio per altri luoghi.» Girò gli occhi verso l'oceano, occhi freddi e grigi come pietra. «Quando arriva il momento di saldare i conti, la gente deve pagare. Morgan non c'è più, ma ci sono ancora molti debiti in sospeso.»

«Lei è una specie di poliziotto, qui, non è vero?»

Parkus annuì. «Rivesto quelle che per voi sarebbero le cariche di giudice supremo e alto carnefice. Quaggiù.» Posò la mano forte e calda sulla testa di Jack. «Dall'altra parte sono solo uno che se ne va da un posto all'altro, che fa qualche lavoretto, strimpella qualche musichetta. E qualche volta, credimi, mi piace molto di più così.»

Sorrise di nuovo e questa volta era Svelto.

«E tu lo rivedrai quel tipo di tanto in tanto, Jack. Sì, di tanto in tanto. Qui e là. Davanti a un ipermercato, forse, o in un parco.»

Gli strizzò l'occhio.

«Ma Svelto... non sta bene», ricordò Jack. «Ha qualcosa che il Talismano non ha potuto guarire.»

«Svelto è vecchio», rispose Parkus. «Ha la mia età, ma il tuo mondo l'ha fatto diventare più vecchio di me. Gli restano comunque ancora alcuni anni e magari neanche pochi. Non temere, Jack.»

«Promesso?»

Parkus sorrise: «Già già».

E Jack sorrise stancamente a Parkus.

«Tu e il tuo amico camminate verso est finché non penserete di aver percorso cinque miglia. Superate quelle colline basse laggiù e poi sarà più facile, il terreno sarà migliore. Cercate un grosso albero, il più grosso albero che abbiate mai visto. Arrivate a quel grosso vecchio albero, Jack, e lì prenderai la mano di Richard e flipperai. Sbucherai vicino a una sequoia gigantesca nel cui tronco è stata scavata una galleria per farci passare una strada. Questa strada è la Diciassette e vi troverete nei pressi di un paese della California settentrionale che si chiama Storeyville. Entrate in paese. Al semaforo lampeggiante c'è una stazione di rifornimento della Mobil.»

«E poi?»

Parkus si strinse nelle spalle. «Non lo so con certezza. Può darsi che incontri qualcuno che riconoscerai.»

«Ma come facciamo a tornare...»

«Ssst», lo fermò Parkus, posandogli sulla fronte una mano, esattamente come aveva fatto sua madre quando era

(bimbi a riposare, papà va a cacciare e tutte quelle balle, la la là, dormi, Jacky, andrà tutto bene e andrà tutto bene e)

molto piccolo. «Basta con le domande. Tutto andrà per il meglio per te e per Richard, d'ora in poi. Credo.»

Jack tornò a sdraiarsi. Teneva la sfera buia nell'incavo del braccio. Ora gli sembrava di avere dei massi appesi a entrambe le palpebre.

«Sei stato coraggioso e leale, Jack», sentenziò Parkus con pacata solennità. «Vorrei che tu fossi figlio mio... e ti rendo onore per il tuo grande coraggio e per la tua fede. In molti mondi ci sono persone che hanno contratto con te un grande debito di gratitudine e, in un modo o nell'altro, credo che lo sentano.»

Jack riuscì a sorridere.

«Resta ancora un po'», borbottò.

«Va bene», gli concesse Parkus. «Finché ti sarai addormentato. Non temere, Jack, niente può farti del male qui.»

«Mia madre diceva sempre...»

Ma prima che potesse terminare la frase il sonno lo aveva già vinto.

 

4

 

E il sonno continuò ad avere la meglio su di lui anche il giorno dopo quando era tecnicamente sveglio. E se non era il sonno, allora era un torpore protettivo che gli era calato nella mente e che trasformò tutta la giornata, rallentando il tempo e dando a esso una qualità onirica. A fianco di Richard, altrettanto titubante e lento nei movimenti, si trovava ora sotto il più grande albero del mondo. Tutt'attorno erano sparse chiazze di luce sul suolo della foresta. Dieci uomini adulti che si fossero tenuti per mano non sarebbero riusciti a circondare il tronco. L'albero si alzava massiccio e isolato in una foresta di alberi che erano tutti alti come giganti, puro esempio dell'esuberanza dei Territori.

Non temere, aveva ripetuto Parkus. Jack rovesciò la testa all'indietro per guardare le fronde del colosso. Non lo sapeva, ma era emotivamente sfinito. L'immensità di quell'albero suscitava solo un barlume di meraviglia in lui. Posò una mano sulla corteccia sorprendentemente levigata. Ho ucciso l'uomo che ha ucciso mio padre, disse a se stesso. Stringeva la sfera del Talismano nell'altra mano, scura, apparentemente morta. Anche Richard guardò le vaste fronde dell'albero, un ombrello aperto in cima a un grattacielo. Morgan era morto, con lui era morto anche Gardener e ormai la neve si doveva essere sciolta sulla spiaggia. Eppure non era ancora finita. Per Jack era come se un cumulo di neve gli avesse riempito la testa. Aveva pensato in passato, forse mille anni prima, che quando avesse finalmente chiuso le mani sul Talismano si sarebbe sentito invadere da trionfo ed eccitazione e stupore. Ora invece percepiva solo un minuscolo indizio di tutto questo. Nevicava nella sua testa e non riusciva a formulare pensieri che non fossero una ripetizione delle istruzioni ricevute da Parkus. Si rese conto che si stava lasciando incantare da quell'albero enorme.

«Prendi la mia mano», disse a Richard.

«Ma come facciamo a tornare a casa?» domandò Richard.

«Non temere», lo tranquillizzò, chiudendo la mano su quella dell'amico. Jack Sawyer non si sarebbe lasciato incantare da un albero. Jack Sawyer aveva attraversato la Contrada Maledetta, aveva sgominato l'albergo nero, Jack Sawyer era coraggioso e leale. Jack Sawyer era uno sfinito ragazzo di dodici anni con una nevicata nel cervello. Senza sforzo flippò nel proprio mondo e Richard scivolò con lui attraverso ignote barriere.

 

5

 

La foresta si contrasse. Adesso era una foresta americana. Il tetto dei rami che oscillavano dolcemente era notevolmente più basso. Gli alberi erano visibilmente più piccoli di quelli della foresta dei Territori alla quale li aveva guidati Parkus. Jack registrò distrattamente questa alterazione nelle dimensioni di ogni cosa prima di notare la strada asfaltata a due corsie che aveva davanti. Poi la realtà del ventesimo secolo gli sferrò un calcio negli stinchi, perché appena vista la strada udì il rumore di frullatore di un piccolo motore e d'istinto si ritrasse portando con sé Richard prima che sfrecciasse davanti a lui una piccola Renault Le Car. L'utilitaria infilò il tunnel scavato nel tronco della sequoia che era solo poco più della metà della sua corrispondente dei Territori. Ma almeno un adulto e due bambini a bordo della Renault non stavano contemplando le sequoie per le quali avevano compiuto un lungo viaggio fin dal New Hampshire. La donna e i due bambini che sedevano dietro si erano girati per guardare esterrefatti Jack e Richard. Le loro bocche spalancate sembravano piccole caverne nere. Avevano appena visto i due ragazzi apparire come fantasmi ai bordi della strada, materializzarsi miracolosamente e istantaneamente dal nulla.

«Ce la fai a camminare per un po'?»

«Sicuro», rispose Richard.

Jack scese sull'asfalto della strada e attraversò l'enorme galleria scavata nell'albero.

Pensava che forse era tutto un sogno, che forse era ancora sulla spiaggia dei Territori accanto a Richard svenuto. Forse Parkus lo stava ancora contemplando con i suoi occhi dolci. Mia madre diceva sempre... Mia madre diceva sempre...

 

6

 

Come muovendosi in un banco di nebbia (quando invece in quella zona della California settentrionale la giornata era asciutta e soleggiata), Jack Sawyer condusse Richard Sloat fuori dalla foresta di sequoie e giù per una strada in pendenza fra prati inariditi dall'inverno.

...che in qualsiasi film la persona più importante è di solito l'operatore...

Il suo corpo aveva bisogno di dormire ancora. La sua mente aveva bisogno di una vacanza.

...che quel vermouth è la rovina di un buon martini...

Richard lo seguiva in silenzioso raccoglimento. Era così lento che Jack era costretto a fermarsi ripetutamente ai bordi della strada aspettando che lo raggiungesse. Mezzo miglio davanti a loro era già visibile un borgo che doveva essere Storeyville. Ad ambo i lati della strada c'erano case basse e bianche. Su una di essere era scritto ANTICHITÀ. Poco più avanti c'era un semaforo lampeggiante sospeso al centro di un incrocio deserto. Jack intravide lo spigolo dell'insegna della MOBIL davanti alla stazione di rifornimento. Richard veniva avanti arrancando, con la testa così bassa che praticamente aveva il mento posato sul petto.

Quando gli fu più vicino, Jack si accorse finalmente che il suo amico piangeva. Gli passò un braccio sulle spalle. «Voglio che tu sappia una cosa», gli disse.

«Che cosa?» C'era un'espressione di caparbietà sulla faccia bagnata di Richard.

«Ti voglio bene.»

Gli occhi di Richard tornarono immediatamente sulla strada. Jack continuò a tenergli il braccio sulle spalle. Dopo un attimo Richard rialzò gli occhi, guardò diritto in quelli di Jack e quello fu come qualcosa che Lily Cavanaugh Sawyer aveva detto un paio di volte a suo figlio. Jacky, ci sono momenti in cui non sei proprio costretto a strombazzare quello che senti.

«Si va, Richie», disse Jack. Aspettò che si asciugasse gli occhi. «Mi pare di capire che abbiamo appuntamento con qualcuno a quella pompa della Mobil.»

«Hitler, per caso?» Richard si premette le nocche sugli occhi. Pochi attimi dopo era pronto di nuovo e i due ragazzi entrarono insieme a Storeyville.

 

7

 

Era una Cadillac, parcheggiata sul lato in ombra della stazione di servizio. Una El Dorado con un'antenna televisiva a forma di boomerang che sporgeva dal baule. Sembrava grande come una casa ed era scura come la morte.

«Oh, Jack, merda secca», gemette Richard, afferrando Jack per una spalla. Aveva gli occhi sgranati, gli tremava la bocca. Jack si sentì scorrere nuovamente l'adrenalina nelle arterie. Ma non gli dava più la carica. Lo faceva solo sentire stanco. Troppo era successo, più che troppo.

Tenendo stretta la palla di cristallo scuro, quella specie di gingillo da rigattiere che era stato il Talismano, Jack s'incamminò verso la stazione di servizio della Mobil.

«Jack!» cercò di fermarlo debolmente Richard. «Che cosa stai facendo? Sono loro! Le stesse macchine che c'erano alla Thayer, le stesse macchine che c'erano a Point Venuti!»

«Parkus ci ha detto di venire qui», rispose Jack.

«Tu sei matto, socio», mormorò Richard.

«Lo so. Ma andrà tutto bene. Vedrai. E non chiamarmi socio.»

La portiera della Cadillac si spalancò e da essa emerse una gamba nerboruta fasciata in tela di jeans scolorita. Il disagio iniziale si trasformò in terrore vero e proprio quando Jack vide che la punta dello stivale nero era stata ritagliata perché potessero uscirne dita pelose.

Richard squittì al suo fianco come un topo di campagna.

Era un Lupo. Senz'altro, Jack lo seppe ancor prima che la creatura si girasse.

Era alto più di due metri. I suoi capelli erano lunghi, incolti, non molto puliti. Gli si posavano spettinati sul colletto. Il gigante si girò e Jack vide balenare occhi arancioni... e all'improvviso il suo terrore diventò gioia.

Scese di corsa ignorando il benzinaio che era venuto fuori a guardarlo, ignorando le persone che oziavano davanti all'emporio. I capelli sollevati al vento gli scoprirono la fronte. Le vecchie scarpe malconce sbatacchiavano rumorosamente sull'asfalto; la sua faccia era illuminata da un sorriso beato; i suoi occhi scintillavano come aveva fatto il Talismano.

Tuta con pettorina: la stessa, che diamine! Occhialini rotondi senza montatura: gli occhiali di John Lennon. E un grande sorriso di benvenuto.

«Lupo!» gridò Jack Sawyer. «Lupo! Sei vivo! Lupo, sei vivo!»

Era ancora a più di un metro da Lupo quando spiccò il salto e Lupo lo accolse fra le braccia con tranquilla disinvoltura, sprizzante di gioia.

«Jack Sawyer! Lupo! Guarda qui! Proprio come aveva detto Parkus! Sono qui in questo postaccio inchiodato da Dio che puzza come merda in uno stagno e sei qui anche tu! Jack con il suo amico! Lupo! Bene! Bellissimo! Lupo!»

Fu l'odore di Lupo a far capire a Jack che questo non era il suo Lupo, ma sempre l'odore gli disse anche che questo Lupo non poteva essere che un parente... sicuramente molto stretto.

«Ho conosciuto il tuo fratello di figliata», disse Jack, ancora sorretto dalle braccia forti e irsute di Lupo. Adesso, guardandolo in faccia, vedeva che era più anziano e più saggio, ma sempre dolce.

«Mio fratello Lupo», disse Lupo, depositando Jack a terra. Allungò quindi il braccio e toccò il Talismano con la punta di un dito. Il suo volto era pieno di riverenza. Quando lo toccò una scintilla vibrò all'interno del globo come una cometa di passaggio. Trattenne il fiato, guardò Jack e sorrise. Jack gli sorrise di rimando.

Ora arrivò Richard, che li contemplò entrambi con stupore e diffidenza.

«Nei Territori ci sono Lupi buoni, oltre a quelli cattivi», cominciò Jack.

«Molti Lupi buoni», sottolineò Lupo. Tese la mano a Richard.

Richard si ritrasse per un secondo, poi accettò di scambiare una stretta con lui. Dal modo in cui piegò la bocca quando la sua mano scomparve, Jack dedusse che Richard si aspettava di subire lo stesso trattamento che tempo addietro Lupo aveva riservato a Heck Bast.

«Questo è fratello di figliata del mio Lupo», lo presentò Jack con orgoglio. Si schiarì la gola, non sapendo bene come esprimere i sentimenti per il fratello di questa creatura. In che maniera i Lupi affrontavano un lutto? Avevano qualche forma di rito?

«Volevo bene a tuo fratello», disse finalmente. «Mi salvò la vita. A parte Richard, credo che sia stato il mio migliore amico. Mi dispiace che sia morto.»

«Adesso è nella luna», gli rispose il fratello di Lupo. «Tornerà. Ogni cosa se ne va, Jack Sawyer. Come la luna. Ogni cosa ritorna, come la luna. Andiamo. Voglio scappare da questo posto puzzolente.»

Richard era perplesso, ma Jack lo capiva e si sentiva solidale con lui: c'era tanfo di idrocarburi attorno alla stazione di servizio. Era come un sudario scuro.

Il Lupo andò alla Cadillac e aprì la portiera posteriore come un autista compito. Ma con tutta probabilità lo era davvero.

«Jack?» Richard era spaventato.

«Va tutto bene», lo rassicurò Jack.

«Ma dove...»

«Da mia madre, credo», lo precedette Jack. «Attraverso tutto il continente fino ad Arcadia Beach, nel New Hampshire. Viaggio in prima classe. Coraggio, Richie.»

Raggiunsero la macchina. In un angolo dell'ampio sedile posteriore, c'era un liso astuccio per chitarra. Jack provò un tuffo al cuore.

«Svelto!» Si girò verso il fratello di Lupo. «Anche Svelto viene con noi?»

«Non conosco nessuno Svelto», rispose il Lupo. «Avevo uno zio che era abbastanza svelto, ma poi finì azzoppato. Lupo! Tanto che non riusciva più a star dietro alla mandria.»

Jack indicò l'astuccio. «Ma quello da dove arriva?»

Lupo sorrise, mostrando molti grossi denti. «Parkus», spiegò. «Ha lasciato anche questo per te. Me n'ero quasi dimenticato.»

Tirò fuori dalla tasca posteriore una cartolina molto vecchia. Da una parte c'era una giostra con tanti cavalli che Jack conosceva, fra i quali Ella Speed e Silver Lady. Ma molte delle signore in primo piano indossavano crinoline, i ragazzini avevano calzoni corti che arrivavano sotto il ginocchio, molti degli uomini portavano la bombetta e baffi a manubrio. Il tempo aveva reso fragile il cartoncino.

Lo rigirò e lesse per prima cosa la scritta a stampa che c'era al centro: GIOSTRA DI ARCADIA BEACH, 4 LUGLIO 1894.

Era stato Svelto, non Parkus, a vergare un paio di frasi nello spazio riservato ai messaggi. La sua scrittura era larga, ortograficamente imperfetta. Si era servito di una matita morbida e spuntata.

Hai fatto meraviglie, Jack. Usa quello che ti serve dall'astuccio. Tieni il resto o buttalo via.

Jack si ripose la cartolina nella tasca posteriore e montò a bordo della Cadillac, spostandosi sul sedile imbottito. Una delle serrature del vecchio astuccio era rotta. Fece scattare le altre tre.

Intanto Richard era salito dietro di lui.

«Santo cielo», mormorò.

L'astuccio era colmo di biglietti da venti dollari.

 

8

 

Lupo li portò a casa, e anche se molti degli avvenimenti di quell'autunno si appannarono nella mente di Jack in un tempo assai breve, ogni singolo momento di quel viaggio gli restò impresso per il resto della vita. Lui e Richard sedevano sul sedile posteriore della El Dorado e Lupo guidava trasportandoli a est, est, est. Lupo conosceva le strade e Lupo le percorreva. Ogni tanto suonava nastri dei Creedence Clearwater Revival a un volume assordante. Il suo pezzo preferito era Run Through the Jungle, Corsa nella giungla. Trascorreva anche lunghi periodi ad ascoltare le variazioni tonali del vento facendo ruotare il deflettore del suo finestrino comandato elettronicamente. Ne sembrava totalmente affascinato.

Est, est, est... verso il sorgere del sole ogni mattina, nel misterioso imbrunire blu cupo al sopraggiungere di ogni sera, ascoltando prima John Fogerty e poi il vento, di nuovo John Fogerty e poi di nuovo il vento.

Consumarono pasti veloci alle tavole calde. Si fermarono a un ristorante dove offrivano polli fritti alla Kentucky. Qui Jack e Richard ordinarono una cena intera; Lupo si fece portare il menù del giorno e lo divorò fino all'ultimo boccone. Dal rumore che faceva, doveva aver mangiato anche quasi tutte le ossa. Jack ricordò Lupo e il popcorn. Dov'era stato? A Muncie. Nei pressi di Muncie, poco prima di essere sbattuti insieme nella Casa del Sole. Sorrise... e poi avvertì come una freccia che gli feriva il cuore. Guardò fuori dalla finestra perché Richard non si accorgesse dello scintillio delle sue lacrime.

La seconda notte si fermarono a Julesburg nel Colorado e Lupo cucinò per loro un'imponente cena su una griglia portatile che tirò fuori dal bagagliaio. Mangiarono in un campo innevato sotto la luce delle stelle, al calduccio di eschimo imbottiti trovati nell'astuccio per chitarra. Una pioggia di meteoriti attraversò il cielo e Lupo ballò nella neve come un bambino.

«Gli voglio bene, a quel tizio», commentò Richard meditabondo.

«Anch'io. Avresti dovuto conoscere suo fratello.»

«Mi sarebbe piaciuto.» Richard cominciò a raccogliere i rifiuti. Quello che aggiunse subito dopo gettò Jack nello sconcerto totale. «Mi sto dimenticando molte cose, Jack.»

«Come sarebbe a dire?»

«Quello che ho detto. Via via che viaggiamo ricordo meno di quello che è accaduto, diventa tutto nebuloso e credo... credo che sia meglio così. Senti, sei proprio sicuro che tua madre stia bene?»

Tre volte Jack aveva cercato di telefonarle. Non aveva ottenuto risposta. Non era questo che lo preoccupava. Le cose si erano messe per il meglio. Sperava. Quando fosse arrivato a destinazione l'avrebbe trovata. Malata... ma ancora viva. Sperava.

«Sì.»

«Allora perché non risponde al telefono?»

«Sloat ha combinato qualche scherzo ai telefoni», rispose Jack. «E scommetto che ha giocato qualche tiro anche al personale dell'Alhambra. Ma mia madre c'è ancora. È malata, ma c'è. È là. Lo sento.»

«E se questo aggeggio che ha guarito noi funziona...» Richard s'interruppe, fece una piccola smorfia, poi prese coraggio: «Credi... cioè, pensi ancora che mi lascerebbe... sai, restare con voi?».

«Mai più», rispose Jack, aiutando Richard a raccogliere i resti della cena. «Probabilmente ti farebbe rinchiudere in un orfanotrofio, o magari in galera. Ma non essere scemo, Richard, certo che puoi stare con noi!»

«Be'... dopo tutto quello che ha fatto mio padre.»

«L'ha fatto lui, Richie», precisò semplicemente Jack. «Non tu.»

«E tu non passerai la vita a ricordarmelo? Lo sai... ad aizzare la mia memoria?»

«No, se vuoi dimenticare.»

«Lo voglio, Jack. Davvero.»

Lupo stava tornando.

«Siete pronti? Lupo!»

«Tutto pronto», rispose Jack. «Senti, Lupo, che cosa ne diresti di quel nastro di Scott Hamilton che ho preso a Cheyenne?»

«Sicuro, Jack. E poi un po' di Creedence?»

«Run Through the Jungle, vero?»

«Gran bel pezzo, Jack. Forte! Lupo! Un pezzo davvero forte!»

«L'hai detto, Lupo.» Jack ruotò gli occhi verso Richard e Richard li ruotò verso di lui e sorrisero entrambi.

Il giorno dopo attraversarono il Nebraska e l'Iowa; il giorno dopo ancora transitarono davanti alle rovine della Casa del Sole. Jack pensò che forse Lupo li aveva fatti passare di là di proposito, forse perché voleva vedere il luogo in cui aveva perso la vita suo fratello. Alzò al massimo il volume del nastro dei Creedence, ma a Jack sembrò lo stesso di udire i singhiozzi di Lupo.

Tempo. Frammenti sospesi di tempo. Jack aveva quasi l'impressione di librarsi nell'aria, un senso di sospensione, trionfo, commiato. Un lavoro portato a termine con onore.

Verso l'ora del tramonto del quinto giorno varcarono il confine della Nuova Inghilterra

 

47

La fine del viaggio

 

1

 

Ora che erano nella Nuova Inghilterra il lungo viaggio dalla California sembrava che non fosse durato più di un unico pomeriggio. Un pomeriggio di giorni e una sera lunga forse come una vita, gonfia di tramonti e musica ed emozioni. Grandi sfere di fuoco rotolanti. Questa volta ne sono proprio fuori, pensò Jack mentre, per la seconda volta nell'arco di quella che a lui era sembrata una mezz'oretta, aveva allungato lo sguardo verso il piccolo orologio del cruscotto e aveva scoperto che erano sfilate ben tre ore. Era ancora lo stesso giorno di prima? Run Through the Jungle echeggiava nell'abitacolo. Lupo dondolava la testa a tempo con la musica, sorridendo incessantemente, trovando infallibilmente i percorsi più comodi. Nel lunotto posteriore il cielo si apriva in ampie strisce di crepuscolo, viola e azzurro e quello speciale rosso intenso e lamentoso del sole che muore. Jack ricordava ogni particolare di questo lunghissimo viaggio, ogni parola, ogni pasto, ogni sfumatura musicale, ma il reale arco di tempo intercorso si era richiuso nella sua mente, concentrandosi come si solidifica il carbone di un diamante. Dormiva sul sedile posteriore ben imbottito e apriva gli occhi alla luce o all'oscurità, al sole o alle stelle. Fra le cose che ricordava con particolare precisione, dopo che ebbero varcato il confine della Nuova Inghilterra, c'era che il Talismano aveva ripreso a brillare, segnalando il ritorno del tempo alla normalità (o forse il ritorno del tempo in sé nella vita di Jack Sawyer), c'erano le facce delle persone che cercavano di vedere all'interno dell'El Dorado (persone nelle aree di parcheggio, un marinaio e una ragazza con la faccia bovina a bordo di una decappottabile a un semaforo in un solatio borgo dell'Iowa, un ragazzino pelle e ossa in equipaggiamento da ciclista nell'Ohio) forse nella speranza che Mick Jagger o Frank Sinatra avessero deciso di far loro una visita. No, ragazzi, siamo solo noi. Sprofondò ripetutamente nel sonno. Una volta si svegliò (Colorado? Illinois?) ai tonfi violenti di un pezzo rock. Lupo schioccava le dita mentre la macchina procedeva a velocità di crociera sotto un cielo che era una fantasmagoria di arancioni e viola e azzurri. Richard aveva trovato chissà dove un libro e lo stava leggendo aiutandosi con il piccolo lume che si trovava sopra la sua testa. Il libro era Il cervello di Broca. Richard sapeva sempre che ora era. Jack alzò gli occhi al soffitto e si lasciò prendere dalla musica e dai colori della sera. Ce l'avevano fatta, erano arrivati fino in fondo... a parte quello che restava da compiere in una piccola località di villeggiatura deserta del New Hampshire.

Cinque giorni o un prolungato, sognante crepuscolo? Run Through the Jungle. Il sassofono di Zoot Sims che diceva Here's a story for you, do you like this story? (Qui c'è una storia per voi, vi piace questa storia?) Richard era suo fratello, suo fratello.

Ritrovò il senso del tempo più o meno quando il Talismano resuscitò durante il magico tramonto del quinto giorno. Oatley, pensò Jack il sesto giorno, avrei potuto mostrare a Richard il tunnel di Oatley e quello che resta del Tap, avrei potuto mostrare a Lupo da che parte andare... Ma non aveva voglia di rivedere Oatley. Non avrebbe trovato in questo né soddisfazione né piacere. Ora si rendeva conto di come fossero ormai vicini, di quanto avessero viaggiato mentre lui andava alla deriva nel tempo come una piuma nell'aria. Lupo li aveva portati alla grande arteria autostradale, ora che si trovavano nel Connecticut, e l'Arcadia Beach era al di là di pochi altri confini di stato, sulla costa frastagliata della Nuova Inghilterra. Da quel momento Jack cominciò a contare le miglia e anche i minuti.

 

2

 

Alle cinque e un quarto della sera del ventun dicembre, tre mesi dopo il giorno in cui Jack Sawyer aveva rivolto la faccia (le sue speranze) a occidente, una Cadillac El Dorado nera imboccò il viale di ghiaia dell'Alhambra, albergo con giardino, nella cittadina di Arcadia Beach, New Hampshire. A ovest il tramonto era una fanfara di rossi e arancioni che traboccavano nel giallo... blu... e porpora. Nei giardini rami denudati si urtavano rumorosamente in un feroce vento invernale. Proprio lì, fino a meno di una settimana fa, c'era stato un albero che catturava e divorava animaletti, scoiattoli, uccellini, il denutrito gatto dell'impiegato alla ricezione. Questo alberello era morto all'improvviso. Le altre piante del giardino, sebbene scheletriche, vivevano ancora, nel torpore del sonno.

I copertoni dell'El Dorado facevano scricchiolare la ghiaia. Dall'abitacolo, smorzate dai vetri polarizzati dei finestrini, giungevano le note dei Creedence Clearwater Revival. «The people who know my magic», cantava John Fogerty, «have filled the land with smoke. (La gente che conosce la mia magia ha riempito l'aria di fumo.)»

La Cadillac si fermò davanti ai grandi battenti dell'ingresso. Al di là di essi c'erano solo tenebre. I fari si spensero e il lungo veicolo fu avvolto dalle ombre nelle quali si spargeva pigramente il fumo bianco dal tubo di scappamento e scintillavano le lucine arancioni di parcheggio.

Qui alla fine del giorno; qui al tramonto sotto il variopinto ventaglio del cielo a occidente.

Qui.

Subito subito.

 

3

 

Sul sedile posteriore della Cadillac c'era una luce fragile e incerta. Il Talismano brillava... ma il suo bagliore era debole, poco più del lume di una lucciola morente.

Richard si girò lentamente verso Jack. Era pallido e spaventato. Stringeva fra le mani Carl Sagan, torcendo il volume tascabile come una lavandaia torcerebbe il lenzuolo.

Il Talismano di Richard, pensò Jack e sorrise.

«Jack, vuoi...»

«No», disse Jack. «Aspetta finché ti chiamo.»

Aprì la portiera sulla destra, fece per scendere, poi si voltò di nuovo verso Richard. Richard sedeva nell'angolo del sedile, piccolo e contratto, con il tascabile stropicciato fra le mani. Sembrava infelice.

Senza nemmeno pensarci, Jack si allungò per posargli un bacio sulla guancia. Richard gli passò per un momento le braccia intorno al collo e lo tenne stretto con forza, poi lo lasciò andare. Non si dissero nulla.

 

4

 

Jack si avviò verso la scala dell'ingresso, ma poi ebbe un ripensamento, girò verso destra e si portò ai margini del viale. Qui c'era una ringhiera di ferro. Sotto di essa scendevano alla spiaggia spalti di rocce crepate. Più a destra ancora, contro il cielo che si oscurava, si stagliava l'otto volante del parco dei divertimenti.

Jack alzò il viso verso est. Il vento che strapazzava i giardini gli sollevò i capelli dalla fronte spingendoglieli indietro.

Jack levò il globo che aveva in mano come un'offerta all'oceano.

 

5

 

Il 21 dicembre 1981 un ragazzo di nome Jacky Sawyer era vicino al punto in cui acqua e terra si toccano; teneva fra le mani un oggetto di un certo valore, teneva gli occhi rivolti all'Atlantico indomito. Quel giorno compiva tredici anni, anche se non lo sapeva, e la sua bellezza era straordinaria. I suoi capelli castani erano lunghi, probabilmente troppo, ma la brezza marina glieli spingeva via dalla bella fronte alta. Stava lì e pensava a sua madre e alle stanze di questo albergo in cui erano vissuti insieme. Avrebbe acceso una luce lassù? Riteneva che l'avrebbe fatto.

 

Jack si girò e i suoi occhi riflessero un lampo di luce del Talismano.

 

6

 

La mano tremante e scheletrica di Lily cercava a tentoni l'interruttore della luce sul muro. Lo trovò e lo fece scattare. Chiunque l'avesse vista in quel momento avrebbe preferito guardare altrove. In quell'ultima settimana circa il cancro aveva cominciato a diramarsi in lei con maggior lena, come se percepisse che stava per arrivare qualcosa che gli avrebbe tolto tutto il divertimento.

Ora Lily Cavanaugh pesava trentotto chili. La sua pelle era ingiallita, tesa sul cranio come una pergamena. I cerchi bruni che aveva sotto gli occhi si erano trasformati definitivamente in profonde cavità nere; dalle orbite gli occhi guardavano con un'espressione d'intelligenza febbricitante e spossata. Le era scomparso il seno. Le era scomparsa la massa muscolare delle braccia. Sulle natiche e sulla parte posteriore delle cosce avevano cominciato a fiorirle piaghe da decubito. Nel corso di quell'ultima settimana aveva preso la polmonite. Naturalmente nelle disastrate condizioni fisiche in cui si trovava, era candidata a quella o a qualunque altra malattia respiratoria. Avrebbe potuto essere colpita da polmonite nelle migliori delle circostanze e queste erano decisamente fra le peggiori. Da tempo i termosifoni dell'Alhambra avevano cessato il loro rumorio notturno, ma Lily non avrebbe saputo dire da quando: il tempo era diventato per lei nebuloso e indefinibile quanto lo era stato per Jack a bordo dell'El Dorado. Sapeva solo che il riscaldamento si era spento la stessa notte in cui aveva sferrato il pugno alla finestra facendo volare via quel gabbiano che assomigliava a Sloat.

Da quella notte in poi l'Alhambra si era andata trasformando in una ghiacciaia deserta. Una cripta nella quale presto sarebbe deceduta.

Se Sloat era responsabile per quanto era accaduto all'Alhambra, bisognava congratularsi per il buon lavoro che aveva svolto. Se ne erano andati tutti. Tutti. Nessuna cameriera a passare per i corridoi spingendo il suo carrello cigolante. Nessun operaio al lavoro fischiettando. Nessun ipocrita impiegato alla ricezione. Sloat se li era messi tutti in tasca e se li era portati via.

Quattro giorni prima, non avendo trovato in camera abbastanza da soddisfare il suo seppure scarsissimo appetito, si era alzata dal letto e aveva percorso lentamente il corridoio fino all'ascensore. Per questa sua spedizione aveva portato con sé una seggiola in modo da sedersi e riposarsi di tanto in tanto, la testa ripiegata in avanti per la fatica, oppure per servirsene come di un bastone da passeggio. Aveva impiegato quaranta minuti per percorrere dieci metri di corridoio fino alla cabina dell'ascensore. Aveva schiacciato il pulsante più di una volta, ma la cabina non era arrivata. I pulsanti non si erano nemmeno illuminati.

«Al diavolo», aveva borbottato con la sua voce stentata e roca. Poi aveva percorso con grande lentezza gli altri sette metri fino alle scale.

«Ehi!» aveva gridato nella tromba delle scale, ma subito dopo era stata sopraffatta da un accesso di tosse, piegata in due sulla spalliera della seggiola.

Può darsi che non mi abbiano sentito gridare, ma non possono non avermi sentito tossire fuori quel poco che rimane dei miei polmoni, aveva pensato.

Ma non era venuto nessuno.

Aveva gridato di nuovo, due volte, era stata scrollata nuovamente dalla tosse, quindi aveva preso la via del ritorno in quel corridoio che le sembrava lungo come un rettilineo dell'autostrada del Nebraska in un giorno limpido. Non osava scendere per quelle scale. Non sarebbe mai riuscita a risalire. E laggiù non c'era nessuno, né nell'atrio, né al bar, né al ristorante, nessuno. E i telefoni erano fuori servizio. Quanto meno lo era quello in camera sua e non aveva udito squilli provenire da nessun'altra stanza di questo vecchio mausoleo. Non ne valeva la pena. Sarebbe stata un'iniziativa perdente. Sarebbe morta assiderata nell'atrio dell'albergo.

«Jack», aveva mormorato, «dove diavolo ti sei...» Poi aveva ripreso a tossire e questa volta era stato un attacco così violento che era stramazzata svenuta tirandosi addosso quell'orribile seggiola ed era rimasta quasi un'ora riversa sul gelido pavimento e probabilmente in quel momento la polmonite aveva traslocato nel quartiere in rapido disarmo che era il corpo di Lily Cavanaugh. Bene o male era riuscita a tornare nella sua camera e da allora era sopravvissuta in una spirale di febbre crescente, ascoltando la sua respirazione diventare via via più rumorosa finché la sua mente malata aveva cominciato a figurarsi i suoi polmoni come due acquari organici nei quali traballavano sonoramente catene sommerse. Eppure aveva resistito. Aveva resistito perché una parte della sua mente conservava la folle certezza che Jack stesse tornando.

 

7

 

L'inizio del suo coma finale era stato come un'intaccatura sulla superficie della sabbia, una piccola depressione che comincia a girare su se stessa come un mulinello. Il rumore delle catene sommerse che aveva nel petto si trasformò in una lunga esalazione: Haaaaaaaa...

Qualcosa però l'aveva richiamata da quella spirale ottenebrante spingendola a tastare la parete nel buio gelido alla ricerca dell'interruttore della luce. Si era alzata dal letto. Non aveva abbastanza energie per farlo. Era un'ipotesi che avrebbe fatto ridere un medico. Eppure si era alzata. Era ricaduta all'indietro due volte, ma alla fine era riuscita a mettersi in piedi, con gli angoli della bocca duramente ripiegati verso il basso per lo sforzo. Aveva cercato la seggiola, l'aveva trovata, e aveva cominciato a spingersi verso la finestra.

Lily Cavanaugh, la primadonna, non c'era più. Questa persona era un orrore ambulante, divorato dal cancro, bruciato dalla febbre.

Era arrivata alla finestra e aveva guardato fuori.

Aveva visto una sagoma umana laggiù... e un globo luminoso.

«Jack!» aveva cercato di gridare. Le aveva risposto solo un bisbiglio ghiaioso. Aveva alzato una mano, aveva tentato di salutare. Un capogiro

(Haaaaaaaa...)

la fece vacillare. Si aggrappò al davanzale.

«Jack!»

All'improvviso la sfera illuminata fra le mani di quell'ombra umana aveva mandato un lampo brillante e aveva illuminato la sua faccia ed era davvero la faccia di Jack, era proprio Jack, oh grazie a Dio, era Jack. Jack era tornato a casa.

La sagoma si era messa a correre.

Jack!

Gli occhi infossati e moribondi si ravvivarono. Lacrime sgorgarono sulle sue guance tirate e gialle.

 

8

 

«Mamma!»

Jack attraversò di corsa l'atrio notando solo di sfuggita che l'antiquato centralino telefonico era fuso e carbonizzato, come se fosse stato distrutto da una scarica elettrica. L'aveva vista e gli era sembrata orrenda. Era stato come veder apparire a una finestra il profilo di uno spaventapasseri.

«Mamma!»

Salì le scale a due gradini per volta, poi a tre, mentre il Talismano balbettò qualche lampo di luce rosata e si oscurò nuovamente fra le sue mani.

«Mamma!»

Giù per il corridoio, verso le loro camere, all'impazzata, ormai, e ora, finalmente, udiva la sua voce. Ma questa volta non era un richiamo squillante o quella sua risatina un po' gutturale; questa volta era il verso distorto e farraginoso di una creatura lambita dalla morte.

«Jacky?»

«Mamma!»

Fece irruzione nella stanza.

 

9

 

A bordo dell'automobile Richard Sloat levò nervosamente lo sguardo attraverso il finestrino polarizzato. Che cosa ci faceva lì? Che cosa ci faceva Jack lì? Gli facevano male gli occhi. Li stava sforzando per cercare di vedere le finestre del piano superiore nella sera brumosa. Mentre si allungava per guardare all'insú, inclinando la testa, un'accecante folgore bianca scaturì da alcune delle finestre del primo piano, stendendo per un momento un lenzuolo quasi palpabile di luce abbagliante su tutta la facciata dell'albergo. Richard si mise la testa fra le ginocchia e gemette.

 

10

 

Era per terra sotto la finestra: finalmente l'aveva vista. Il letto disfatto, dall'aspetto un po' trasandato, polveroso, era vuoto. Sembrava vuota tutta la stanza, disordinata come quella di un bambino. Jack si era sentito paralizzare lo stomaco, le parole gli si erano bloccate nella gola. Poi il Talismano aveva emesso un altro dei suoi lampi fulgidi investendo di un bianco candore tutto quello che c'era nella stanza. Lily gracchiò: «Jacky?» ancora una volta e Jack gridò «Mamma!» vedendola accartocciata sotto la finestra come la carta stagnola di una tavoletta di cioccolata. Magra e inerte, con i capelli sparsi sul tappeto sporco. Le sue mani sembravano le zampine di un animale che raspavano debolmente. «Oh Gesù, mamma. Oh mio Dio, mio Dio», balbettò avanzando non si sa come senza compiere un solo passo: si librò, volò, attraverso la stanza gelida e sottosopra di Lily in un istante che gli sembrò nitido come un'immagine su una lastra fotografica. I suoi capelli sparsi disordinatamente sul tappeto lurido, le sue piccole mani nodose.

Percepì distintamente l'odore denso di malattia, di morte imminente. Jack non era un medico. Era ignaro di tutto quello che non funzionava più nel corpo di Lily, ma una cosa sapeva: sua madre stava morendo, la sua vita le stava scivolando fuori attraverso crepe invisibili e le rimaneva molto poco tempo. Aveva pronunciato due volte il suo nome e questo era tutto ciò che i suoi ultimi rimasugli di vita le concedevano. Già lacrimante, le posò la mano sulla testa e collocò il Talismano per terra accanto a lei.

Sentì i suoi capelli pieni di sabbia, sentì che la testa le scottava. Oh mamma, mamma, gemeva. Le infilò le mani sotto il corpo. Ancora non riusciva a vedere la sua faccia. Attraverso la camicia da notte leggera, le sentì il fianco ardente come lo sportello di una stufa. Contro l'altra mano sentì la sua scapola pulsare di calore altrettanto cocente. Non percepì alcun cuscinetto di carne attorno alla sua ossatura. Per un secondo fu come se il tempo si fermasse e gli parve di avere fra le mani un bambino piccolo e lercio, solo e abbandonato. Le lacrime gli sprizzarono senza volere dagli occhi. La sollevò e fu come sollevare un fastello di vestiti. Le braccia di Lily ricaddero con grazia.

(Richard)

Richard gli era sembrato... no, non era stata una sensazione così terribile, nemmeno quando lo aveva trasportato in spalla ed era stato come trasportare un guscio vuoto, scendendo per il pendio di quell'ultimo colle alle porte di Point Venuti. Allora Richard presentava solo qualche brufolo e uno sfogo cutaneo e anche lui bruciava di febbre, ma ora Jack ricordava con orrore che aveva sentito in Richard più vita, più sostanza di quanto restasse ora a sua madre. Eppure lei aveva invocato il suo nome.

(e Richard era quasi morto)

Aveva mormorato il suo nome. Si aggrappò a questo. Era riuscita ad arrivare fino alla finestra, lo aveva chiamato per nome. Era impossibile, impensabile, immorale immaginare che potesse morire. Un braccio di sua madre gli pendeva davanti come una canna che ha bisogno di essere accorciata da un colpo di falce. Le era scivolata via la vera nuziale dall'anulare. Jack piangeva incontrollabilmente, inconsciamente. «Okay, mamma», disse, «okay, adesso ci siamo, non temere, ci siamo.»

Nel corpo inerte che teneva fra le braccia avvertì una vibrazione che forse era un segno di assenso.

La posò dolcemente sul letto e il suo corpo si girò senza peso su un fianco. Jack montò a sua volta sul letto con un ginocchio e si chinò su di lei. I capelli flaccidi le si spostarono dal viso.

 

11

 

Una volta, poco prima di iniziare il suo viaggio, per un momento che gli aveva provocato vergogna aveva visto sua madre come una vecchia: una vecchietta sfinita e spenta in una sala da tè. Appena l'aveva riconosciuta, l'illusione si era dissipata e Lily Cavanaugh Sawyer era ridiventata quella di sempre, donna senza età. Perché la Lily Cavanaugh reale, quella autentica, non avrebbe mai potuto invecchiare. Era destinata a essere in eterno quella bionda con un sorriso guizzante e tagliente e una vena di cinico divertimento negli occhi. Quella era la Lily Cavanaugh la cui immagine su un cartellone aveva restituito vigore al cuore di suo figlio.

La donna che giaceva sul letto somigliava assai poco all'attrice del cartellone. Jack fu momentaneamente accecato dalle lacrime. «Oh no, no, no», mormorò, mentre avvicinava la mano aperta alla sua guancia ingiallita.

Lily non dava l'impressione di avere abbastanza energie da poter alzare il braccio. Jack le prese una mano rinsecchita. «Ti prego ti prego ti prego...» Non riusciva nemmeno a dirlo.

Allora si rese conto dello sforzo immenso che aveva compiuto questa povera donna. Lo stava cercando. Sua madre sapeva che stava per arrivare. Aveva avuto fiducia nel suo ritorno con una tenacia che non poteva non essere collegata al Talismano. Aveva presagito il momento del suo ritorno.

«Sono qui, mamma», bisbigliò. Una bolla di muco gli scaturì dalle narici. Senza tante cerimonie si pulì il naso sulla manica.

Si accorse solo ora che tremava dalla testa ai piedi.

«Te l'ho portato», disse. Visse un attimo di orgoglio raggiante, di pura soddisfazione. «Ti ho portato il Talismano.»

Dolcemente, lasciò andare la mano sul copriletto.

Accanto alla seggiola dove lo aveva posato con tanta cautela, il Talismano continuava a brillare, ma la sua luce era debole, esitante, appannata. Aveva guarito Richard facendogli semplicemente rotolare la sfera per tutta la lunghezza del corpo; lo stesso aveva fatto con Svelto. Ma questa volta era diverso. Lo sapeva, ma non sapeva in che modo... a meno che il problema fosse il suo non volerlo credere.

Non avrebbe assolutamente potuto rompere il Talismano, nemmeno per salvare la vita a sua madre, di questo si sentiva sicuro.

Ora l'interno del Talismano si andava lentamente colmando di un biancore lattiginoso. Le pulsazioni si sommavano le une con le altre in una luce sempre più costante. Jack vi posò sopra le mani e il Talismano lanciò un accecante ventaglio di luce. Un arcobaleno! Gli sembrò quasi che contenesse un messaggio verbale. FINALMENTE!

Jack tornò al letto con il Talismano che spargeva la sua luce in tutta la stanza, sul pavimento, sulle pareti, sul soffitto, illuminando il letto di un bagliore intermittente e vivace. Appena fu al capezzale di sua madre, Jack ebbe la sensazione che la superficie de! Talismano si modificasse leggermente sotto le sue dita. Fu come se la sua durezza vitrea cedesse, diventasse meno liscia, più porosa. Quasi quasi i suoi polpastrelli affondarono nel Talismano. La sua nebulosità interiore ribollì e si oscurò.

E in questo momento Jack sperimentò un sentimento forte, una passione, per la verità, che mai avrebbe creduto possibile quel giorno di molto tempo fa quando era partito per la sua prima tappa di cammino nei Territori. Sentì che il Talismano, l'oggetto che era costato tanto sangue e tanti pericoli, stava per trasformarsi in una maniera imprevedibile. Stava per modificarsi per sempre e lui lo avrebbe perso. Il Talismano non sarebbe stato più suo. La sua superficie trasparente si andava appannando e diventava più tenera. Ora la sensazione non era più quella di avere fra le mani una sfera di vetro, bensì un globo di plastica tiepida.

Velocemente Jack posò il Talismano fra le mani di sua madre.

E il Talismano conosceva il suo mestiere, era stato creato per questo momento. In qualche favolosa officina era stato costruito per rispondere alle esigenze di questo particolare momento e nessun altro.

Jack non sapeva che cosa aspettarsi. Un'esplosione di luce? Un odore di medicinale? Il big bang di una creazione?

Non accadde nulla. Sua madre continuava a morire, vistosamente, nell'immobilità assoluta.

«Ti prego», proruppe Jack. «Ti prego, mamma, ti supplico...»

Il fiato gli si solidificò nel petto. Una cucitura, quella che era stata uno dei solchi sottili nella superficie del Talismano, si era aperta senza rumore. Dalla fessura uscì lentamente una luce che si diffuse sulle mani di sua madre. Essa sgorgava dall'interno nebuloso della sfera che si andava svuotando.

Dall'esterno giunse un'improvvisa, forte musica di uccelli che celebravano la loro stessa esistenza.

 

12

 

Ma di questo Jack fu solo marginalmente conscio. Con il fiato sospeso, era curvo sulla madre a osservare il Talismano che spargeva se stesso sul suo capezzale. Un nuovo bagliore opaco andava ravvivandosi al suo interno. Scintille e fessure fulgenti lo rivestirono. Le palpebre di sua madre vibrarono. «Oh mamma», bisbigliò Jack.

Una luce dorata sgorgò dallo spiraglio che si era aperto nel Talismano allungandosi, opaca, sulle braccia di sua madre. La faccia avvizzita della malata si mosse, la sua fronte si corrugò lievemente.

Jack prese fiato senza accorgersene.

(Che cosa?)

(Musica?)

La nuvola dorata che c'era nel cuore del Talismano si andava distendendo sul corpo di sua madre, rivestendola di una membrana delicatissima, leggermente opacizzata. Jack osservava questo tessuto fluido allargarsi sul misero petto di Lily, scenderle per le gambe smagrite. Dalla fessura uscì un aroma meraviglioso insieme con la nube dorata, una fragranza dolce e insieme aspra, di fiori e di terra, un messaggio di fertilità; un odore di nascita, pensò Jack, sebbene non sapesse niente di come si svolgesse un parto. Jack se ne riempì i polmoni e nel mezzo del suo stupore ebbe in dono la straordinaria sensazione che persino lui, Jacky Sawyer, stesse nascendo in quel preciso istante. Allora, con un impercettibile sussulto di comprensione, vide in quella fessura che si era aperta una specie di vagina. (Naturalmente non aveva mai visto gli organi genitali femminili e aveva un'idea alquanto approssimativa di come fossero fatti.) Fissò gli occhi su quello spiraglio nella superficie distesa del Talismano.

Ora si accorse dell'incredibile chiasso degli uccelli all'esterno, nel quale si mescolava quella musica fievole.

(Musica? Ma che cosa...?)

Gli passò davanti agli occhi una piccola sfera colorata e piena di luce che balenò per un attimo nella fessura aperta e poi continuò il suo viaggio dietro la superficie opaca del Talismano, tuffandosi nel turbine gassoso del suo nucleo. Sbatté le palpebre, perplesso. Gli era sembrato... Ne seguì un'altra e questa volta ebbe tempo di vedere demarcazioni azzurre e marrone e verdi, le linee delle coste e minuscole catene montuose. Su quel mondo in miniatura c'era un Jack Sawyer che, come paralizzato, fissava un bruscolo colorato ancor più piccolo e su quel bruscolo c'era un Jacky alto come un granello di polvere che contemplava un mondo dalle dimensioni di un atomo. Un altro mondo seguì i primi due comparendo e scomparendo nella nuvola che si dilatava all'interno del Talismano.

Sua madre mosse la mano destra e gemette.

Jack cominciò a piangere senza riserve. Sarebbe vissuta. Adesso lo sapeva. Tutto era andato come Svelto aveva predetto e il Talismano restituiva vita al corpo martoriato e sfinito di sua madre, uccidendo il male che l'aveva lentamente divorata. Si chinò su di lei per un momento, in procinto di baciare il Talismano che gli aveva invaso la mente. Si sentì riempire le narici degli aromi mescolati del gelsomino e dell'ibisco e della terra rivoltata di fresco. Una lacrima gli si staccò dalla punta del naso e scintillò come un gioiello nei raggi di luce del Talismano. Vide una cintura di stelle passare all'altezza della fessura, un sole giallo librato in un vasto spazio nero. Dal Talismano sembrò uscire una musica a riempire la stanza, tutto il mondo esterno. Ora si affacciò alla fessura un volto di donna, un volto sconosciuto. Poi visi di bambini, e poi volti di altre donne... Le lacrime gli rotolarono sulla faccia perché nel Talismano aveva visto il volto di sua madre, le sembianze tenere e insieme scaltre della Regina di un mezzo centinaio di film di cassetta. Quando vide il proprio viso passare fra tutti i mondi e tutte le vite che correvano verso la nascita all'interno del Talismano, credette di esplodere di commozione. Si sentì espandere. Respirò luce. Solo allora si accorse dello scompiglio sonoro che stava avvenendo intorno a lui e in quel momento vide gli occhi di sua madre rimanere aperti la bellezza di due benedetti secondi di fila...

(Perché vive come il cinguettare degli uccelli, vive come i mondi contenuti dal Talismano... Gli giunsero le note di trombe e tromboni, le note di sassofono; le voci in coro di rane e tartarughe e colombe che cantavano: The people who know my magic have filled the land with smoke. (La gente che conosce la mia magia ha riempito questo posto di fumo.)Gli giunsero le voci dei Lupi che cantavano lupescamente alla luna. L'acqua schiaffeggiò la prua di una nave e un pesce schiaffeggiò la superficie di un lago con il proprio corpo e un arcobaleno schiaffeggiò il suolo e un ragazzo in viaggio schiaffeggiò una pietra con uno sputo per stabilire da che parte andare e un bambino schiaffeggiato accartocciò la faccia e aprì la bocca; e venne la voce possente di un'orchestra che cantava con tutto il suo cuore massiccio; e la camera si riempì della scia fumigante di un'unica voce sempre più forte, sempre più forte, vittoriosa su tutti gli altri suoni. Camion ingranarono la marcia e fabbriche misero in funzione le loro sirene e chissà dove un copertone scoppiò e da qualche altra parte una castagnola si consumò violentemente e un amante bisbigliò «Ancora» e un bambino strillò e la sua voce diventò sempre più acuta e per un breve tempo Jack si accorse di non poter vedere. Poi vide di nuovo.)

Lily aprì gli occhi del tutto. Li fissò su Jack con l'espressione sbigottita di chi non sa più dove si trova. Era l'espressione di un neonato che è appena stato scaricato in questo mondo. Poi sussultò traendo un respiro concitato...

...e in quel momento dal Talismano sgorgò un fiume di mondi e galassie e universi. Sgorgò in un'ondata di colori dell'arcobaleno. Sgorgò per ricadere come una cascata nella bocca e nel naso di sua madre. Mille colori si depositarono, scintillanti, sulla sua pelle malata, come goccioline di rugiada e subito dopo sprofondarono in essa. Per un momento sua madre fu avvolta nel riverbero...

...per un momento sua madre fu il Talismano.

La malattia fuggì da lei. Non accadde come in una sequenza cinematografica. Accadde tutto in una volta. Accadde istantaneamente. Prima era malata. Poi non lo era più. Un roseo colorito le fiorì nelle guance. I capelli prima esili e radi furono all'improvviso folti, forti e sani, del colore del miele di castagno.

Madre e figlio si guardarono.

«Oh... oh... mio Dio...» mormorò Lily.

L'arcobaleno si andava spegnendo, ma la guarigione restava.

«Mamma?» Jack si chinò di più. Qualcosa si accartocciò come cellophane fra le sue dita. Era la fragile buccia del Talismano. La posò sul comodino. Per farlo spostò alcuni flaconi medicinali. Uno o due caddero per terra con uno schianto. Non importava, perché sua madre non avrebbe mai più avuto bisogno di medicine. Posò la buccia del Talismano con grande reverenza. Con il sospetto (anzi, la certezza) che anche quella si sarebbe dissolta tra poco.

Sua madre sorrise. Era un sorriso bello, appagato, un tantino sorpreso. Salute, mondo, sono qui di nuovo! Che cosa ne dici?

«Jack, sei tornato a casa», disse finalmente e si strofinò gli occhi come per assicurarsi che non fosse un miraggio.

«Certo», rispose lui semplicemente. Cercò di sorridere. Fu un sorriso riuscito, nonostante le lacrime che gli bagnavano la faccia. «Sicuro. Come no.»

«Mi sento... molto meglio, Jacky.»

«Sì?» Jack sorrideva, asciugandosi gli occhi con il dorso delle mani. «Sono contento, mamma.»

Gli occhi di lei erano luminosi. «Abbracciami, Jacky.»

In una stanza del terzo piano di un albergo deserto sulla minuscola costa del New Hampshire, un ragazzo tredicenne di nome Jack Sawyer si chinò, chiuse gli occhi e abbracciò con calore sua madre, sorridendo. La vita normale di scuola e amici e giochi e musica, una vita dove c'erano lezioni da frequentare e lenzuola linde fra le quali scivolare di notte, la vita normale di un ragazzo di tredici anni (se la vita di una simile creatura, nei suoi colori e nelle sue stravaganze, si può considerare normale) gli era stata restituita. Tutto questo aveva fatto per lui il Talismano. Quando si ricordò di girarsi a guardare, il Talismano non c'era più.

 

Epilogo

 

In una sala bianca e vaporosa gremita di donne ansiose, Laura DeLoessian, Regina dei Territori, aprì gli occhi.

 

Conclusione

 

Così finisce questa cronaca. Era la storia di un ragazzo, deve finire qui. La storia non potrebbe continuare di molto senza diventare la storia di un uomo. Quando si scrive un romanzo che racconta di persone adulte, si sa esattamente dove fermarsi, cioè a dire con un matrimonio; ma quando si scrive di giovani, bisogna fermarsi dove meglio si può.

 

Molti dei personaggi apparsi in questo libro vivono ancora e sono agiati e felici. Un giorno varrà forse la pena di riprendere la storia e vedere che cosa... è stato di loro; pertanto sarà saggio non rivelare, per ora, nient'altro della loro vita.

 

Mark Twain, Le avventure di Tom Sawyer

 

FINE